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REVIEWSLE RECENSIONI
07/01/2018
The Devil And The Almighty Blues
II
Cresciuto a due passi dal Circolo Polare, il loro è uno stoner sgangherato e caracollante, versione low-fi dei Salem’s Pot, con una particolare affinità per una rabbiosa depressione da bluesman spiantati
di Giovanni Capponcelli

Qualche sprazzo di luce nella vecchia botte di rovere dove era maturato, nella tenebra, l’esordio per cui qualcuno, nel 2015, gridò al mezzo miracolo. Dal legno al metallo; cavalcate sfiancanti, sei lunghissimi brani tra galoppi e riflessioni intontite e piegate dalla distorsione e dal volume.

Cresciuto a due passi dal Circolo Polare, il loro è uno stoner sgangherato e caracollante, versione low-fi dei Salem’s Pot, con una particolare affinità per una rabbiosa depressione da bluesman spiantati, erranti su qualche vecchio vagone merci. Lightnin' Hopkins al Gods Of Metal.

Per il resto, il citazionismo nemmeno troppo nascosto è però sovrascritto da una foga e da una tensione smisurate: evocando lo zombie del Josh Homme di Molten Universe in Low, giocando perennemente coi riff di Ball And Biscuit di Jack White, recuperando i Black Keys meno cool di Rubber Factory; infine. frugando e tra bagliori plumbei dell’esordio dei Black Sabbath, sempre pronti al duello stile vecchio west con qualche gang di motociclisti alla Sons Of Anarchy.

Annoverando anche pesi massimi come i Tiebreaker, la Norvegia si conferma nuovo territorio vergine per un southern rock del freddo, con strade senza uscita, tramonti coperti dalle nuvole, e fiordi glaciali eppure roventi; e un raggio di speranza all’orizzonte.