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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
10/03/2020
U2
The Joshua Tree
Usando come canovaccio le tessiture e le sperimentazioni testate con il disco precedente, i quattro irlandesi con The Joshua Tree cercarono di portarsi in un territorio inesplorato, tentando a tutti i costi di trovare l’esatta mediazione tra gli opposti: il privato e l’universale, la speranza e la disperazione, la malinconia di The Unforgettable Fire e il Rock rabbioso di War.

A trentaquattro anni di distanza, la faccenda non è ancora del tutto chiara: come avrà fatto Bono a convincere Brian Eno a lavorare con gli U2? All’inizio del 1984, infatti, sporcarsi le mani con un gruppo Rock era l’ultima cosa che l’ex Roxy Music voleva fare. Dopo aver lavorato con David Bowie, i Devo, gli Ultravox! e i Talking Heads, Eno non desiderava altro che dedicarsi a tempo pieno alla propria musica. Ma, a fronte del corteggiamento insistente perpetrato da Bono nei suoi confronti – con metodi prossimi allo stalking –, Eno fu costretto a capitolare.

Il produttore inglese, assieme all’amico Daniel Lanois, si rimboccò le maniche e fece di tutto per dare un sano scossone ai metodi di composizione e registrazione utilizzati fin lì dagli U2 con Steve Lillywhite. Ogni precedente abitudine fu rovesciata: grande spazio all’improvvisazione, alle jam session e alle atmosfere dilatate dal forte sapore Ambient. I risultati ottenuti durante la lavorazione di The Unforgettable Fire –  a detta sia di Eno & Lanois sia degli U2 – furono superiori alle aspettative. Ma se quel paesaggio semiallucinato composto da chitarre esplosive come stille di bengala e ritmiche solide è di una bellezza difficilmente ripetibile, è con The Joshua Tree che gli U2 entrarono nella Storia.

Usando come canovaccio le tessiture e le sperimentazioni testate con il disco precedente, i quattro irlandesi con The Joshua Tree cercarono di portarsi in un territorio inesplorato, tentando a tutti i costi di trovare l’esatta mediazione tra gli opposti: il privato e l’universale, la speranza e la disperazione, la malinconia di The Unforgettable Fire e il Rock rabbioso di War. Il frutto di tanto sforzo non poteva essere che una vera e propria bomba emotiva. In quel periodo, Bono ascoltava incessantemente Roots Music, Folk e Blues, pensava ai nuovi testi e leggeva William Faulkner, mentre The Edge, lavorando alla colonna sonora del film Captive, si interessava di musica cinematica e ricerca sonora, esplorando e sviluppando le potenzialità del proprio suono di chitarra. Le nuove canzoni, allora, erano per forza di cose diverse e vedevano il baricentro sonoro del gruppo spostarsi dalla natia Irlanda, ricca di malinconia e di poesia, verso Ovest, fra le braccia dell’America. I punti di riferimento erano Bob Dylan, Van Morrison, Lou Reed e Bruce Springsteen, dei quali gli U2 ammiravano l’incessante lavoro di ricerca delle radici e invidiavano la voglia di abbeverarsi alla fonte primordiale della musica.

Non c’è una nota sbagliata in The Joshua Tree e gli undici brani, uno in fila all’altro, non sono altro che un percorso che dalla luce porta all’oscurità. La sequenza iniziale, poi, con i tre singoli “Where the Streets Have No Name”, “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” e “With or Without You” snocciolati uno dopo l’altro, è da veri e propri miracolati. Senza dimenticare il mormorio sommesso di “Running to Stand Still” e l’orazione funebre di “One Tree Hill”. Che dire: uno degli album centrali del Rock anni Ottanta, che divenne una hit perché capace di unire in un colpo solo due cose allo stesso tempo così lontane e così vicine: melodia e visione.

Uscito il 9 marzo 1987, l’album andò dritto al numero 1 negli Usa e in Gran Bretagna. In America batté il record di rapidità di vendite e a Dublino, disponibile a partire dalla mezzanotte, vista l’incessante richiesta, si formarono code fuori dai negozi – e la leggenda vuole che, tra le persone lì presenti, ci fossero anche Elvis Costello e la moglie Cait O’Riordan, all’epoca bassista dei Pogues.

Concluso il pellegrinaggio americano l’anno successivo con Rattle and Hum – un progetto multimediale che comprendeva un album e un film, entrambi accolti molto severamente negli Usa - , i quattro irlandesi presero armi e bagagli e si trasferirono a Berlino, capendo che ormai i tempi erano maturi per un radicale mutamento sonoro e visivo. Nell’ex sala da ballo precedentemente usata da David Bowie, Iggy Pop, Depeche Mode, David Sylvian, Nick Cave e Marillion per incidere i loro capolavori – i famosissimi Hansa Tonstudios – presero forma le canzoni di quello che sarà Achtung Baby. Ma questa è un’altra storia.


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