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REVIEWSLE RECENSIONI
06/02/2018
Calexico
The Thread That Keeps Us
Con “The Thread That Keeps Us” i Calexico riescono a compiere l’ennesimo miracolo: riuscire a mantenersi saldi nel solco della tradizione dell’Americana più classica e, allo stesso tempo, ampliare i proprio orizzonti sonori, spostando sempre un po’ più in là i loro confini musicali.

Dopo essere stati fedeli alla loro Tucson, Arizona, per una dozzina di anni, a partire da Carried to Dust (2008) i Calexico hanno preso strumenti e bagagli e hanno iniziato un pellegrinaggio musicale e spirituale che li ha portati prima a New Orleans, che ha ispirato Algiers (2012), e poi a Città del Messico, dove è nato Edge of the Sun (2015). Ora, per The Thread That Keeps Us, Joey Burns e John Convertino si sono spostati nella contea di Marin, nel nord della California, a pochi chilometri da San Francisco, una zona dove la natura è selvaggia e praticamente incontaminata e dove le colline, avvolte da una fitta vegetazione, guardano verso l’oceano Pacifico. Questa location particolare e questa sensazione di Finis terræ hanno senza dubbio ha influenzato la composizione delle nuove canzoni, in special modo “End of the World with You”, che apre il disco e in qualche modo setta il mood di tutto il lavoro. Qui i Calexico – Joey Burns, John Convertino, Martin Wenk, Jacob Valenzuela, Sergio Mendoza, Jairo Zavala e Scott Colberg – aggiornano il classico Jingle Jangle Sound con un assolo in stile Pavement, selvaggio come lo spirito della natura che li circonda. Ovviamente The Thread That Keeps Us non arriva agli estremi di un album come Earth di Neil Young, nel quale i suoni e i rumori della natura e degli animali dialogano strettamente con le canzoni, ma, alla stregua del loner di Winnipeg, Burns e Convertino non si nascondono e inseriscono nella tracklist una manciata di canzoni dirette e politiche come “Eyes Wide Awake” e “Dead in the Water”, nelle quali esprimono il loro punto di vista sul consumismo sfrenato che attanaglia gli Stati Uniti.

Ma non si vive di sola politica e ambientalismo, per cui in The Thread That Keeps Us non mancano tutti gli elementi che ogni classico album dei Calexico deve avere. Per cui ci sono gli strumentali morriconiani per film western mai girati (“Spinball”, “Unconditional Waltz”, “Shortboard”), il pezzo in salsa mariachi cantato da Jairo Zavala (“Flores y Tamales”), la canzone d’amore fuori dal tempo (“Girl in the Forest”) e il quadretto acustico kinksiano (“The Town & Miss Lorraine”). Senza dimenticare i pezzi à la Calexico, ovvero quelli che solo Burns e Convertino riescono a scrivere, un miscuglio di generi dove ogni elemento trova un suo peculiare equilibrio (“Voices in the Field”, “Under the Wheels”, “Thrown to the Wild” e “Another Space”, il cui incipit rimanda prepotentemente alla “Eminence Front” degli Who).

Insomma, con The Thread That Keeps Us i Calexico riescono a compiere l’ennesimo miracolo: riuscire a mantenersi saldi nel solco della tradizione dell’Americana più classica e, allo stesso tempo, ampliare i proprio orizzonti sonori, spostando sempre un po’ più in là i loro confini musicali. E questo, in tempi di muri e barricate, non è una cosa da poco.