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REVIEWSLE RECENSIONI
23/04/2018
Eels
The Deconstruction
“The Deconstruction” è un album riuscito, ispirato e sincero, che prova a trovare la bellezza attraverso canzoni che abbiano al centro la vita di tutti i giorni, i rapporti tra le persone, le sfide quotidiane.

Si può trovare la verità delle cose anche provando a smontarle e a guardarci dentro. Da questo punto di vista, la decostruzione può non essere semplicemente un’ammissione di sconfitta, un arrendersi al dubbio perenne che nulla abbia veramente un senso, come ci ha insegnato una certa modernità, bensì l’unica soluzione per uscire dal caos e provare a ripartire.

Almeno così la pensa Mark Oliver Everett, che aggiunge un altro capitolo alla nutrita discografia dei suoi Eels, colmando un vuoto che durava ormai da tre anni. “The Deconstruction” arriva in un momento particolarmente sereno della sua vita privata (è da poco diventato papà) ma in un momento storico dove quel che resta del nuovo ordine mondiale post guerra fredda (sempre che sia mai esistito) rischia di deflagrare in uno scenario difficilmente prevedibile. Per la verità lui, da buon americano, parla soprattutto dell’elezione di Trump ma a noi che osserviamo da un’altra prospettiva pare le cose siano un po’ più complesse di come le dipinge lui.

Resta il fatto che, se il mondo è un casino, come ci ha dichiarato nelle note introduttive del lavoro, c’è ancora parecchia bellezza da trovare. Una bellezza che, ancora una volta, ha la forma di canzoni semplici, malinconiche ma allo stesso tempo rilassate, fatte di due accordi e di melodie rassicuranti, dove la leggerezza e la voglia di vivere vanno sempre insieme, a braccetto.

Ha sempre scritto le stesse canzoni, Mr. E: negli anni sono cambiati i titoli, gli arrangiamenti (soprattutto) ma le tematiche trattate e il linguaggio musicale scelto hanno mantenuto saldi i loro punti di riferimento. Il risultato è una nuova collezione di canzoni che è lontana dai toni cupi dei due capolavori del passato (“Beautiful Freak”, “Electro-Shock Blues”) ma abbandona anche le durezze e le spigolosità dei dischi più recenti, per muoversi su un terreno che ha l’aria di collocarsi a metà tra “Daisies of the Galaxy” e “Blinking Lights and Other Revelations”. Ovviamente, tirando in ballo riferimenti così ambiziosi, bisogna essere sinceri e confessare che no, lo standard qualitativo di questa nuova uscita non è assolutamente lo stesso.

Detto questo, “The Deconstruction” è un album riuscito, ispirato e sincero, che prova a trovare la bellezza attraverso canzoni che abbiano al centro la vita di tutti i giorni, i rapporti tra le persone, le sfide quotidiane.

C’è l’orchestra ad accompagnare la band, in una soluzione spesso adottata, soprattutto dal vivo ma che qui dona tutto un altro sapore ai vari episodi, arrivando a configurarne in pieno l’identità. C’è poi un discorso di ritorno alle origini, se vogliamo, vista la presenza di Mickey Petralia, che ha assistito Everett dietro la consolle come non accadeva dai primi lavori.

Un album maggiormente incentrato sulle ballate, meno movimentato e dal tono più colloquiale ma che sa lo stesso regalarci tracce rock divertenti e spensierate come “Today is the Day” o “You Are the Shining Light”, accanto a momenti più cadenzati e meno ariosi come “Bone Dry” e “Rusty Pipes”. In mezzo, intervallati da piccoli frammenti strumentali o cantati, ci sono alcune delle canzoni più ispirate che Mr. E abbia scritto negli ultimi anni, dalla disarmante dichiarazione d’amore di “There I Said” (“A pure Heart needs protection, sweet love and affection. Don’t be afraid, I’m just gonna say it: I love you, there I said it”) dove Tom Waits è più di una semplice ispirazione, alla conclusiva “In Our Cathedral”, che fa capire come il recupero del senso della comunità rappresenti una soluzione non risolutiva ma comunque indispensabile, in questi tempi travagliati (“We are safe, we are free, always were and will be. Your heart’s been battered, your spirit’s broken but there’s a place where your heart can still be open: in our cathedral”).

Il mondo è un casino ma si può provare ad essere gentili, ha detto Everett: ascoltando “The Deconstruction” si ha proprio questa impressione: di aver davanti un essere umano che sta provando innanzitutto ad essere gentile. Con se stesso e con noi. Che poi la gentilezza è il primo passo per essere autentici e autentico, questo lavoro lo è a tutti gli effetti. Magari si potrebbe dire che gli Eels hanno fatto tanti bei dischi in passato e che questo, non aggiungendo nulla di nuovo al loro percorso, potrebbe tranquillamente essere ignorato. Fate voi. Ma se le nuove uscite servono anche per fornirci una chiave interpretativa del presente e un feedback affidabile sullo status dei suoi autori, allora questo va senza dubbio preso in considerazione.

Dopotutto non lo dicono tutti, che la decostruzione può essere positiva.