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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/04/2018
Karuna Khyal
Alomoni 1985
Mentre qui si cominciava, timidamente, ad ascoltare Captain Beefheart (in attesa della glorificazione artistica postuma), un tizio che conoscevano in dieci elargiva questa follia.
di Vlad Tepes

Perfetto stile nipponico. Pseudonimo (Takahashi Yoshihiro), nessuna menzione dei musicisti (il Nostro dovrebbe essere un cuoco autarchico), edizioni introvabili, ristampe in capo al mondo, unico disco pubblicato, mistero biografico et cetera.

Due tracce anonime (24'35''; 22'58'') perse nelle more della storia. Mentre qui si cominciava, timidamente, ad ascoltare Captain Beefheart (in attesa della glorificazione artistica postuma), un tizio che conoscevano in dieci elargiva questa follia.

I due brani sono, in realtà, collages in cui si avverte lo scarto brutale d'ispirazione: “Alomoni 1985 part 1” parte lenta con una nenia blues nipponica che precipita d'improvviso in un incedere ossessivo e postmoderno, allietato da una slide ipnotica e da un'armonica da finis terrae ... chissà cosa ne avrebbe pensato il Capitano ... quindi il silenzio; ma la musica riprende subito, inopinatamente, addentrandosi nei territori dell'avanguardia: una sorta d'inquietante psychedelic-space; il filo si rompe ancora: si ritorna al blues iniziale annientato da tape-loops e dalla consueta, rugginosa novena vocale.

“Alomoni 1985 part 2” si avvale ancora di tape-loops grattugiati, spetezzi fiatistici: una voce maledice da fondocampo; il finale si concede un saturnale selvaggio, una danza psych-blues in cui la reiterazione entra in parallelo colle nostre pulsazioni vitali.

Sembra (sembra!) che questi scriteriati siano anche gli artefici, come Brast Burn, del coevo Debon.

Due gioiellini scivolati nelle pieghe del tempo e della considerazione. Da rivalutare.