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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
03/05/2018
SubArachnoid Space
Almost invisible
Le composizioni di Jones non sono adimensionali o cicliche, ma funzionano come lentissime accumulazioni di sonorità che si dilatano progressivamente o fermentano statiche...
di Vlad Tepes

Appena sotto le ossa della scatola cranica le meningi proteggono cervello e midollo spinale; esse sono costituite da tre rivestimenti concentrici: rispettivamente, dall'esterno all'interno, dura madre, aracnoide e pia madre. Tra aracnoide e pia madre trova posto lo spazio subaracnoideo che racchiude il liquido cerebrospinale o liquor a cui spetta il compito, dettato dalla natura fattrice e benigna, di preservare le nostre cellule nervose da eventuali traumi e di favorirne lo sviluppo.

Tale esplicativo fervorino anatomico, associato alla terra di provenienza del chitarrista e fondatore Mason Jones (San Francisco, California), lascia intravedere lo stile e lo spessore dell'opera: sei strumentali di purissima psichedelia spaziale che possono esser considerati quali atti di una lunga ed articolata suite (circa settanta minuti); compagni d’avventura sono Melynda Jackson, chitarra; Jason Stein, basso; Michelle Schreiber, batteria.

Le composizioni di Jones non sono adimensionali o cicliche, ma funzionano come lentissime accumulazioni di sonorità che si dilatano progressivamente o fermentano statiche: ancora una volta, come in Secret Life Of The Machines dei Doldrums, è la batteria a svolgere il ruolo di temporizzatore contribuendo al ristagno del ritmo o esacerbandolo con un percussionismo concitato degno di Set The Controls For The Heart Of The Sun, versione dal vivo.

In “Shut Inside” (9'10') il basso continuo e il drumming imperterrito sostengono un complesso lavoro chitarristico in cui il borbottio elettrico sottostante, le sonorità spaziali (simili a richiami di delfini interstellari) e i feedback s'impastano felicemente per poi distendersi e formalizzarsi, finalmente, in assoli veri e propri. “High Outside” (7'23'') prosegue nello stesso solco della precedente mentre “Floating Above The Skyline” (6'10'') è, nella prima parte, un irresistibile crescendo scandito da una batteria tolta di peso da Ummagumma e, in seguito, si placa nel consueto borborigmo elettrico. In “Below Any Border” (17'08''), Jones indugia nell'alveo preparato dai compagni quasi a voler concretare, con quegli accordi accennati, un proprio personale mantra, ma è nuovamente Schreiber a romperne la tessitura (che, forse, aspirava alla durata infinita) attraendo il Nostro nell’ennesimo rush. In “Outlined In Rust” (25'38'') sezione ritmica e chitarra approntano il consueto sostrato sonoro: da esso, come dall'oceano senziente di “Solaris”, prendon corpo assoli, fughe, decelerazioni, risucchi galattici, stasi, ed in esso, senza soluzioni di continuità, tutte queste germinazioni si annullano. “Calm Fever” (5'48'') è la chiusura coerente dell'opera, rumore di fondo dell’eterno trasmutare dell’universo.