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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Golden Brown
The Stranglers
1981  (Liberty Records)
POST-PUNK/NEW WAVE
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26/08/2019
The Stranglers
Golden Brown
“Golden Brown” sfida tutte le convenzioni della musica pop: è suonata al clavicembalo e presenta un intricatissimo andamento circolare in 3/4 suonato come un 6/8, che diventa un 4/4 ogni quarta battuta. È insomma quanto di più lontano dal punk e dal pop (e anche dal rock, se è per questo) si possa immaginare. E il testo?

Il 1981 fu un anno controverso e non facile per gli Stranglers. Esauritasi la spinta propulsiva del punk che aveva permesso al quartetto del Surrey di emergere con straordinario successo – un po’ per fortuna e un po’ furbescamente, va detto –, affrancandosi dall’affollatissimo e anonimo calderone pub-rock, la scena musicale britannica subisce una frammentazione dalle proporzioni inedite fino a quel momento: i duri e puri del punk non si danno per vinti e tentano di mantenerne in vita lo spirito attraverso varie declinazioni (Oi!, anarcopunk e hardcore le variazioni sul tema meglio identificabili); le “vecchie glorie” ne individuano i limiti e spostano il confine molto al di là di formule ormai stantie e ammuffite, a partire da colui che del punk fu icona massima e originaria, ovvero John Lydon, che già nel 1978 con l’esordio del suo nuovo combo, Public Image Ltd., letteralmente “crea” il post-punk; sboccia definitivamente il fiore malato e malaticcio del goth, che già alla fine degli anni Settanta, nell’esistenzialismo dei Joy Division e nell’inquietudine di Siouxsie And The Banshees aveva piantato i suoi luttuosi germogli; e, infine, l’esplosione (letteralmente) del synth-pop e della scena New Romantic, che resero la vita durissima, per non dire impossibile, ai chitarristi e ai gruppi guitar-oriented. Se a ciò aggiungiamo (almeno) una fervente sottocultura industrial e il revival dello ska con la 2-Tone, non sarà difficile comprendere come un gruppo atipico e per certi versi già “vintage” (anche anagraficamente: Hugh Cornwell, voce e chitarra, e Dave Greenfield, tastiere, sono nati nel 1949, Jean-Jacques Burnel, basso e voce, nel 1952, e Jet Black, batteria, addirittura nel 1938) come The Stranglers faticassero non poco a trovare una collocazione (e una direzione) agli albori del decennio. Dopo un esordio, Rattus Norvegicus (1977), spintonato a forza all’interno del calderone punk assieme al successivo, e di gran lunga migliore, No More Heroes, pubblicato appena sei mesi dopo (della serie: batti il chiodo finché è caldo…) a cui seguono i due veri capolavori della loro discografia, Black And White (1978) e il concept (!!!) The Raven (1979), il quartetto dà alle stampe nel 1981 un altro concept, il bizzarro ed esoterico The Gospel According To The Meninblack pesantemente intriso di elettronica e ai limiti dello sperimentale.

L’impressione, però, è che la parabola creativa del gruppo si sia ficcata in un vicolo cieco e che il pubblico abbia ormai perso l’interesse nei confronti della loro produzione (il riscontro commerciale di The Meninblack è assai deludente). La EMI decide quindi di prendere in mano la situazione e contatta Tony Visconti, il quale si dichiara disponibile a tentare di risollevare la carriera del quartetto. Registrato nell’estate del 1981 ai Manor Studio, La Folie vede la luce nel novembre di quello stesso anno, a dieci mesi esatti dal precedente album e, benché il mandato di Visconti fosse quello di produrre un album di hits (l’album è in effetti uno dei più accessibili degli Stranglers), passa quasi inosservato; anzi segna il loro peggior piazzamento in classifica fino a quel momento, non riuscendo a entrare nemmeno nella Top Ten (si fermerà all’undicesima posizione).

Ma la Dea del Successo disegna strade ignote a noi umani e si manifesta in modi inesplicabili. Il 10 gennaio del 1982 la EMI/Liberty pubblica il secondo singolo (il primo “Let Me Introduce You To The Family” non se l’erano filato manco i vicini di casa) estratto da La Folie, una dolcissima canzone dalla melodia beatlesiana composta dal tastierista Dave Greenfield, che schizza immediatamente alla posizione numero 2 della classifica dei singoli.

Nulla di strano si direbbe. E invece qualcosa di strano c’è. “Golden Brown” sfida tutte le convenzioni della musica pop: è suonata al clavicembalo e presenta un intricatissimo andamento circolare in 3/4 suonato come un 6/8, che diventa un 4/4 ogni quarta battuta. È insomma quanto di più lontano dal punk e dal pop (e anche dal rock, se è per questo) si possa immaginare. E il testo? Questa è la seconda strofa:

Every time just like the last

On her ship tied to the mast

To distant lands

Takes bothes my hands

Never a frown with golden brown

Testo apparentemente di facile comprensione, in realtà esso non esplicita il proprio significato esclusivamente attraverso il linguaggio ma va metabolizzato (e di conseguenza compreso) anche e soprattutto attraverso la musica. Se da un lato appare evidente che i livelli di lettura sono più di uno, dall’altro l’autore non intende fornire una soluzione definitiva e univoca. Si parla di alti e bassi (evocati anche dall’andamento scomposto della spinetta) ma sta all’ascoltatore “decidere” se questi alti e bassi si riferiscano a un normale rapporto di coppia o alla devastante relazione di dipendenza che il junkie sviluppa con l’eroina. Jet Black, in un’intervista dell’epoca, giunse a dichiarare con serio cipiglio che la canzone parlasse della Marmite (una crema a base di lievito ottenuto dalla produzione della birra che si usa spalmare sui toast). E perché no?

In fondo, la vera forza di ogni incantesimo che ci rapisce è il fatto che non capiamo mai fino in fondo cosa, come e perché stia accadendo. “Golden Brown” è un meraviglioso incantesimo che culla l’ascoltatore tra vampate di euforia e momenti di calda malinconia. Proprio come una storia d’amore, o come l’eroina. O come un toast alla Marmite.

“Golden Brown” fu il più grande successo degli Stranglers e, come già detto, arrivò al numero 2 delle classifiche britanniche ridando loro coraggio e linfa vitale, nonché una strada stilistica nuova che avrebbero continuato a percorrere con altrettale successo grazie a “Strange Little Girl” dell’anno seguente.


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