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MAKING MOVIESAL CINEMA
La Stanza delle Meraviglie
Todd Haynes
2017  (01 Distribution)
DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
18/06/2018
Todd Haynes
La Stanza delle Meraviglie
Da Todd Haynes, e da un titolo simile, era lecito aspettarsi delle meraviglie.

Lo era ancor più per l'uso nel trailer, e nei primi minuti del film, di quella meraviglia di Space Oddity.

Purtroppo, le aspettative non corrispondono alla reatà dei fatti.

C'è un racconto diviso in due epoche, c'è una storia che le lega, e tante piccole coincidenze a farle incrociare.
Ci sono due piccoli protagonisti, entrambi in fuga, entrambi diretti a New York alla ricerca della famiglia, entrambi, senza la possibilità di sentire quello che li circonda perchè sordi.
Ben (nel 1977) scappa dopo che la madre se n'è andata, e vuole trovare quel padre che non ha mai conosciuto, Rose (nel 1927) scappa dal padre poco amorevole per vedere quella madre attrice che non ha tempo per lei.
Entrambi, finiranno per trovare un amico, e infine una famiglia.
Nel mezzo, però, tanti, tantissimi tempi morti, situazioni buoniste, ostacoli francamente mal posti, e una risoluzione del tutto prevedibile.
La magia, la meraviglia, allora dove stanno?
Dovrebbero stare nei parallelismi di queste epoche, in un bianco e nero poetico, in un colore improvviso, in un silenzio che ricorda i film muti.
Peccato che Todd Haynes non si dimostri in grado di gestire queste due scelte, con un montaggio che poteva essere più sapiente, più azzeccato in mano a qualcun altro, e una rivisitazione di sketch e scene tipiche del cinema pre-sonoro che non hanno la stessa potenza di un The Artist.
Todd Haynes allora, nonostante la solita Julianne Moore (che si sforza più del dovuto), dimostra di non saper gestire un film ad altezza di bambino, lì dove aveva saputo incantare con amori d'altri tempi (Carol) o folli biografie di folli cantanti (Io non sono qui).
La colpa potrebbe essere anche di due attori bambini (Oakes Fegley e Millicent Simmonds) non propriamente incantevoli, che non ispirano immediata simpatia, o per quelle scelte di sceneggiatura che affrettano e accelerano tempi che si dilatano invece nelle fughe, nei "vieni a prendermi!", mettendo in secondo piano pure le meraviglie di un museo che restano troppo sullo sfondo.
A fatica, allora, si arriva in quel finale che si fa altrettanto frettoloso e soprattutto poco emozionante, intuibile, mal gestito in un racconto nel racconto che subito si ammoscia.
Di magico, di meraviglioso, restano solo le stelle e David Bowie, ma non serviva un film per ricordarcelo.