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REVIEWSLE RECENSIONI
26/08/2018
Mitski
Be The Cowboy
Un songwriting intimo e confessionale, ma al contempo cangiante e ricco di brillanti ed eterogenee intuizioni, che superano il consueto focus cantautorale incentrato sulla formula abusata” chitarra acustica, pianoforte e voce”.

Nonostante la giovane età, ventotto anni da compiere il prossimo settembre, sono già quattro i dischi rilasciati dalla sogwriter nippo americana Mitski Miyawaki, al secolo meglio conosciuta come Mitski. L’ultimo dei quali, Puberty 2 (2016) ha consolidato un crescente consenso sia di critica che di pubblico, grazie anche alla sgangherata ballata Your Best American Girl, tormentone da più di due milioni di visualizzazioni su Youtube.

Un crescente attenzione mediatica che questo nuovo Be The Cowboy sembra destinato a implementare ulteriormente, grazie alla formula vincente che aveva reso Puberty una sorta di indie best seller: un songwriting intimo e confessionale, ma al contempo cangiante e ricco di brillanti ed eterogenee intuizioni, che superano il consueto focus cantautorale incentrato sulla formula abusata” chitarra acustica, pianoforte e voce”.

E poi, il minutaggio dei brani, che resta quasi sempre sotto i tre minuti ed esalta il concetto del “less is more”, anche se, sono così varie le modalità espressive di ogni singola canzone, che il concetto di tempo viene assorbito da una giostra di colori ed emozioni dalla quale è davvero difficile scendere.

Il brano di apertura Geyser, ad esempio, inizia con niente di più che una voce eterea e atmosfere vagamente celtiche, per poi improvvisamente spingere l'ascoltatore in un crescendo quasi cacofonico, mentre Blue Light va nella direzione opposta, con un inizio percussivo che lentamente evapora in pura atmosfera. Disorienta (piacevolmente) l’ascoltatore, Mitski, evitando l’ovvio, alternando dolcezza e aggressività, mood malinconici e melodie solari, scartando all’interno della stessa canzone dallo schema iniziale per giungere a conclusioni inaspettate (Why did not You Stop Me? produce una suggestiva sintesi tra disco, synth alla MGMT e chitarra elettrica).

La produzione del sodale di sempre, Patrick Hyland, confeziona un disco che suona comunque compatto e consapevole, nonostante l’andamento eterogeneo, che spazia dalle atmosfere disilluse della romantica Come In To The Water (I didn’t know I had a dream/ I didn’t know until I saw you), alla caracollante esuberanza di Me And My Husband, con quelle strofe che sembrano uscire da una canzone di Paul McCartney, al funkettino delizioso di Nobody che manda a memoria la lezione dei Cardigans di Nina Persson, fino alla tensione vibrante di A Pearl, evocata da quel verso fulminante “I fell in love with a war, It’s just that nobody told me that it ended”.

Chiude il disco Two Slow Dancer, il brano più lungo del lotto, una ballata romantica e malinconica, momento intimo e raccolto che sublima un desiderio di stasi dopo l’irrequietezza di una scaletta di musica in movimento e melodie inafferrabili. Se Be The Cowboy doveva essere il disco a conferma definitiva del talento di Mitski, ormai non ci sono più dubbi: la ragazza si è superata, rilasciando uno dei dischi più interessanti dell’anno.