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REVIEWSLE RECENSIONI
29/08/2018
Papa M
A Broke Moon Rises
“A Broke Moon Rises” di Papa M (David Pajo) è un album, semplice, rigoroso e sobrio: in pratica la colonna sonora perfetta di un immaginario film che racconta la storia di un uomo finalmente in pace con se stesso.

David Pajo ha cinquant’anni e, artisticamente parlando,  si può dire che abbia vissuto altrettante vite. È stato un icona del Post Rock prima con i mai troppo lodati Slint e poi con i Tortoise. Ha fatto parte degli Zwan, il fugace progetto post-Pumpkins di Billy Corgan. Si è avvicinato a modo suo al Metal con i Dead Child. E ha messo a disposizione di chiunque la sua perizia strumentale e la sua versatilità, spaziando dall’Hardcore Punk al Math Rock, dall’Elettronica al Folk, dall’Alternative all’Indie. The For Carnation, Stereolab, Royal Trux, King Kong, Will Oldham, Yeah Yeah Yeahs e Interpol sono solo alcuni dei nomi con i quali il buon David può dire di aver collaborato.

Highway Songs, il precedente album di Pajo con il monicker di Papa M uscito due anni fa, oltre che un ritorno alla musica dopo tanto tempo, era stato per David innanzitutto un ritorno alla vita, dal momento che,  tra il 2015 e il 2016, aveva dovuto prima fare i conti con un tentativo di suicidio e poi con un terribile incidente motociclistico. Questa ritrovata fame di vita e di musica aveva irradiato Highway Songs di un’aura speciale, un po’ catartica e un po’ frenetica, come se Pajo avesse voluto condensare in un’unica volta tutta la musica che ha amato, dal Rock sabbathiano al Folk à la Leonard Cohen.

A Broke Moon Rises, invece, è di tutt’altra pasta. Completamente strumentale, prevalentemente acustico, è composto da cinque lunghe suite dove la chitarra è lo strumento predominante, alla quale, layer su layer, con l’aiuto di un discreto tappeto percussivo, è lasciato il compito di creare l’atmosfera di tutto il disco. E se “The Upright Path”, “Walt’s” e “Shimmer” procedono per aggiunta, costruendo le loro architetture sonore con pazienza, “A Lighthouse Reverie” è meno immediata, con una struttura che alterna efficacemente il forte  con  il piano e il semplice con il complesso. Conclude l’album una rivisitazione di “Spiegel im Spiegel”, una pezzo del compositore estone Arvo Pärt, originariamente basato su pianoforte e violino, al quale Pajo altera l’arrangiamento facendo eseguire alle chitarre gli arpeggi del pianoforte e simulando il violino attraverso l’e-bow. Un finale perfetto per un album, semplice, rigoroso e sobrio, che non è nient’altro che la colonna sonora di un immaginario film che racconta la storia di un uomo finalmente in pace con se stesso.