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REVIEWSLE RECENSIONI
09/11/2018
Greta Van Fleet
Anthem Of The Peaceful Army
I Greta Van Fleet, iniziamo con l’ovvio, non inventano proprio nulla, e si fanno portabandiera di una musica dal sapore antico che, evidentemente, possiede oggi le stigmate dell’evergreen, facendo riferimento a un gruppo iconico degli anni ’70

Quello che ha portato i Greta Van Fleet a un evidente successo mediatico, è stato un rapido ma impetuoso crescendo rossiniano, iniziato, due anni fa, con la pubblicazione di un paio di Ep e di qualche singolo, che hanno attirato l’attenzione della stampa e, soprattutto, del pubblico.

Questa giovane band, di cui non sempre si parla in termini lusinghieri, si è conquistata una notevole visibilità anche da noi, soprattutto fra le giovani generazioni che, stranamente, hanno recepito come vicinissima a loro una musica che, benché suonata da dei ventenni, ha una genesi lontanissima nel tempo.

I Greta Van Fleet, per chi non avesse ancora orecchiato il brusio di fondo delle discussioni fra fan e detrattori che nelle scorse settimane hanno animato il web, sono una band derivativa, che più derivativa non si può. I quattro, basta anche un fugace ascolto di uno a caso dei loro brani, sono cresciuti ascoltando i dischi di mamma e papà, con un interesse specifico all’hard rock anni ’70 di matrice britannica. Tanto che, e qui casca l’asino, il loro passatismo è diventato sommamente divisivo tra chi vede nei GVF i nipotini dei Led Zeppelin e chi, invece, li considera una semplice tribute band del combo capitanato da Page e Plant.

Difficile venire a capo di questa diatriba, in cui ognuna delle tesi antagoniste è comunque ben motivata. Non resta dunque che spendere due parole su Anthem Of The Peaceful Army, esordio sulla lunga distanza che, a prescindere da ogni considerazione di merito, è indubbio stia ottenendo un inaspettato successo commerciale (i biglietti per l’unica data italiana della band, prevista per febbraio, sono andati esauriti in poche ore).

I Greta Van Fleet, iniziamo con l’ovvio, non inventano proprio nulla, e si fanno portabandiera di una musica dal sapore antico che, evidentemente, possiede oggi le stigmate dell’evergreen, facendo riferimento a un gruppo iconico degli anni ’70. A favore di questi quattro giovanotti provenienti dal Michigan, bisogna dire che sono emuli ma non falsari: le canzoni, ma non tutte, riproducono un suono noto (cosa che hanno fatto quasi tutti quelli si accingono a suonare questo tipo di rock), pur cercando in alcuni casi di deviare dal seminato con brevi ma riusciti scostamenti.

A orecchie allenate, è fuor di dubbio che il cantante Joshua Kiszka abbiamo imparato a memoria le parti vocali di Robert Plant e che il batterista Daniel Wagner, ogni volta che si guarda allo specchio, riveda il faccione irsuto di John "Bonzo" Bonham;è inevitabile, pertanto, che molte canzoni del lotto abbiano proprio quel suono lì. Alcune, per quanto sembrino degli outtakes dagli album degli Zep, sono anche riuscite e hanno un impatto emozionale niente affatto male (The Cold Wind, When The Curtain Falls), altre, invece, pur continuando a pagare debito all’originale, si mantengono a un livello qualitativo inferiore (The New Day pesca dal repertorio più pop della band inglese).

Si intravede, come si diceva, anche un piccolo sforzo di uscire, se non dal citazionismo, quantomeno dal prevedibile: l’iniziale Age Of Man, con i suoi accenti prog e la melodia di facile presa, è un brano assolutamente centrato, così come Brave New World, ballata cupa e possente che sembra suonata da degli Yes ruvidi ed essenziali.

Accettato come un dato di fatto che i Greta Van Fleet suonano come i Led Zeppelin ma non sono e non saranno mai i Led Zeppelin, di Anthem Of The Peaceful Army si può dire solo quello che si dice di ogni disco derivativo: se c’è un debito, questo va pagato almeno con delle buone canzoni e, in questo esordio, di brani discreti ce n’è più d’uno, e tanto basta a renderlo piacevole e divertente.

Se poi questi quattro ragazzi decidessero di crearsi uno stile proprio, sarebbero in grado di offrire un repertorio decisamente più interessante, anche perché, al di là dei paludamenti seventies, le qualità di songwriting si intravvedono. Per il momento, comunque, godetevi il disco: se vi piacevano i Led Zeppelin, i Greta Van Fleet non vi dispiaceranno; se, invece, non conoscevate gli originali, prendete il disco come una porta aperta sul passato. Scoprirete cose incredibili.