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REVIEWSLE RECENSIONI
17/12/2018
The Prodigy
No Tourists
I Prodigy tornano con l’ennesima bomba sonora, capace di renderli ancora unici ed attuali dopo oltre venticinque anni di carriera.
di Andrea Di Blasi

Difficile trovare un’altra band il cui sound, datato metà anni ’90, risulti ancora coerente, attuale e potente come quello dei Prodigy.

La band torna oggi con un nuovo album di inediti, “No Tourists”, a tre anni di distanza dal precedente “The Day Is My Enemy”.

Già osservando la copertina si intuisce che i Prodigy desideravano probabilmente trasmettere metaforicamente ai propri ascoltatori tutta la potenza del proprio sound: in essa è raffigurato un tir che, in piena notte, sembra procedere dritto verso l’ascoltatore per investirlo frontalmente. E in effetti così è anche stavolta.

L’album si apre con “Need Some1”, una sorta di intro, che insieme alla successiva “Light Up The Sky”, ci tira subito dentro al loro universo, tra le trame di quel sound che in piena maturazione, a metà anni ’90, li ha resi una band seminale.

E già dopo queste prime due canzoni, riflettendo, viene difficile trovare un’altra band che abbia attraversato più di venticinque anni di carriera, capace di coniare un sound così personale, potente, ma soprattutto ancora così attuale.

Si va avanti in perfetto ‘rave-style’ con “We Life Forever”, bellissimo brano in cui possono ritrovarsi tutti gli elementi che li hanno resi grandi.

Con la successiva “No Tourists”, che dà il titolo all’album, si rallenta un po’, ma la sua funzione non è da sottovalutare, visto che non fa altro che dare respiro a tutto ciò che viene prima e dopo di essa.

Nella successiva “Fire With Fire” è presente il primo dei due featuring contenuti nell’album, quello del duo hip-hop statunitense Ho99o9.

“Timebomb Zone” è una delle bombe (neanche a dirlo) dell’intero lavoro, riporta ai suoni e alle atmosfere dell’epoca d’oro di “The Fat of the Land”, non sfigurando affatto nel confronto.

Con le successive “Champions of London” e “Boom Boom Tap” il livello scende un po’: la prima arriva dritta come un pugno allo stomaco, così come la seconda, ma in entrambi i casi l’ispirazione ed il risultato finale non sembrano essere all’altezza delle altre composizioni, impressione che purtroppo riguarda anche la successiva “Resonate”.

L’album si chiude quindi col botto di “Give A Signal”, in cui è presente il feauturing del  ‘folk-singer’ inglese Barns Courtney, canzone dalla struttura più complessa delle altre, grazie alla quale la band ritorna su standard eccellenti.

I Prodigy potrebbero anche essere accusati di rifare sempre e soltanto sé stessi, ma c’è da riflettere su quanto sia stato importante e fondamentale nella musica degli ultimi trent’anni il loro sound, se ad oggi esso risulti ancora così unico ed attuale.

La verità è che probabilmente questi signori, oramai di mezza età, stanno invecchiando più che dignitosamente, coerenti con sé stessi, con i propri fans e col proprio sound, alimentato e maturato nel tempo, ancora oggi soltanto loro: un marchio impresso a fuoco nella musica degli ultimi tre decenni, insomma.

Inoltre, l’avanzare dell’età non sembra riuscire minimamente ad ammorbidire i loro animi, e questo, nell’era dei talent, delle emozioni futili e delle lacrime facili legate alla musica, non sembra essere assolutamente roba da poco.