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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
24/12/2018
Andrea Andrillo
Forse sognare oggi si deve
“Una società che ti fa pagare la speranza, non è degna di definirsi civile, non è pensata per l’uomo, ma per gli automi. E un uomo costretto a vivere come un automa soffre terribilmente. Lo vediamo chiaramente, per strada, che il ‘sistema’ fa di tutto per rifarsi il trucco, ma la gente in giro è tendenzialmente depressa, triste, insoddisfatta, e in tanti conseguentemente sviluppano comportamenti aggressivi verso se stessi e verso gli altri.” (Andrea Andrillo).

Personalmente sognare e sperare significa esser certi che accada qualcosa domani. E se il domani arriva, l’evoluzione si compie e il viaggio continua. Il senso è nel divenire, nel peregrinare, nel tentare digressioni al percorso segnato e non trovar mai uscita che sia meritevole di arrivo. L’arrivo poi… la meta, il target (come direbbe un manager d’azienda) è il punto arido in cui andare a morire. Piano piano morire, lentamente morire. Parole di grandi saggi, non mie. Questo nuovo disco di Andrea Andrillo va consumato lentamente, a lume di candela e armati di vino che dentro impera (quasi sempre) soltanto una chitarra acustica, incoronata a pontificare melodie larghe e sospirate, unica e devota madre terrena che culla liriche preziose (in italiano e in sardo) di un cantautore che non si fa poeta né amministratore di verità altrui.

Canta con voce sottile, Andrillo, un Neil Young di questo futuro, quasi un ago che punge e, ad ascoltarlo come si deve, punge per davvero con queste storie di uomini e di vita consumata dal basso… e laddove è la vita stessa a giungere ad un compromesso, l’uomo svia di lato (o almeno dovrebbe) e la sfida a rinnovarsi, sfida se stesso per prima e sfida Lei alla continua ricerca di quella famosa digressione che replica il passaggio, restituisce al viaggio un senso, mantiene i propri passi in un moto che ha termine soltanto quando ha termine la memoria stessa dell’uomo.

Su LOUDD presentiamo questo importante disco dal titolo “Uomini, bestie ed eroi”. E mandiamo in orbita questo video del singolo “Forse sognare” che diviene colonna sonora e (in qualche misura) teaser del film di cui si parla da qualche giorno, fresco di piazza pubblica: si intitola “Mark’s Diary” a cura del regista, sardo anche lui, Giovanni Coda. La sessualità dell’individuo quando questo è privato della sua normale condizione fisica, quando questo è chiamato a portar con sé la costrizione di un handicap che ancora oggi, da più parti di questa società manovrata a morali comode e demagogie ipocrite, spesso è sinonimo di emarginazione e di pregiudizio… quando invece il diritto alla vita dovrebbe esistere a prescindere dalle forme.

Andrea Andrillo in questo disco di inediti sapientemente impaginato dalla RadiciMusic, lascia spazio alle attese in un suono d’autore che non ha fretta di consumarsi né di banalizzarsi nonostante le soluzioni folk di una radice americana assolutamente riconoscibile. Canzoni difficili, prima da accettare e poi da comprendere. Perché accade sempre così quando è la verità che prende parola. Finalmente una scrittura che dal popolo nasce e al popolo resta, senza quella banalissima quanto becera moda che diviene presunzione nel credere che l’autoreferenzialità del proprio ego faccia storia anche per gli altri.

Ancora una volta siamo chiamati a spegnere le rudimentali scuse di progresso e a fermarci un attimo appena. Non significa perdere tempo. Significa crescere dentro.

“Forse sognare”. Facendo una metafora di questo titolo - che oggi sia divenuto un lusso anche sognare?

Sognare è un istinto fondamentale dell’uomo. Se fossimo confinati ai nostri cinque sensi, saremmo solo degli automi. Invece sappiamo sognare… sta lì tutta la differenza, per quel che ne sappiamo, fra noi e un cactus.?E poter sognare dovrebbe essere gratis, tutti dovrebbero poter avere un sogno, una speranza. Una società che ti fa pagare la speranza non è degna di definirsi civile, non è pensata per l’uomo, ma per gli automi. E un uomo costretto a vivere come un automa soffre terribilmente. Lo vediamo chiaramente, per strada, che il “sistema” fa di tutto per rifarsi il trucco, ma la gente in giro e tendenzialmente depressa, triste, insoddisfatta e in tanti conseguentemente sviluppano comportamenti aggressivi verso se stessi e verso gli altri. Detto questo, il titolo della canzone avrebbe dovuto essere “morire, dormire (forse sognare)”. Il che ci trasporta un po’ più in là, alla fine della storia, su un cornicione, al quinto piano di un palazzo, di fronte ad un profondo bisogno di sfuggire ad una vita infernale.

È una canzone non esattamente semplice, quantunque la sua dolorosa poesia riesca a smorzare un altrimenti probabile effetto “pugnale nel petto quando l’ascolti”.

La canzone d’autore di Andrea Andrillo… sarda nelle radici, ma apolide nel suo essere uomo e artista. Che ne dici?

La Sardegna è dove poggio i piedi, è il sangue che ho nelle vene ed il punto dal quale guardo il mondo. Tolstoj diceva che se vuoi parlare dell’universo, è meglio che cominci a parlare di casa tua. In realtà la mia canzone è sarda nelle radici perché le mie radici sono innegabili ed evidenti, ma il mio songwriting viene da più lontano. Se ti capita di ascoltare le mie canzoni, si sente immediatamente che sono sostanzialmente di scuola inglese e americana.

Tra l’altro mi colpisce tanto il titolo del disco. “Uomini, bestie ed eroi”. Cosa sta a significare per te? Tra l’altro ti chiedo: di chi possiamo bellamente fare a meno?

Di recente ho spiazzato un giornalista durante una diretta tv, quando mi ha chiesto più o meno la stessa cosa. Istintivamente, nell’ilarità generale, gli ho risposto “l’ho intitolato così perché Combat Rock era già stato preso”. Aggiungendo qualche dettaglio, potrei dire che ho scelto “Uomini, bestie ed eroi” sia come omaggio al mai dimenticato “Ken Parker” di Berardi e Milazzo, sia per fare subito chiarezza su cosa sarei andato a cantare nel disco: le persone che il mondo ritiene, a torto, insufficienti, gli eroi della quotidianità, le persone ferite, le persone che hanno in sé un coraggio che non dovrebbe essergli riconosciuto solo in occasione di tragedie, ma nella quotidianità. Canto, per esempio, la profonda dignità di un padre sordo che custodisce nel suo cuore una canzone che non può cantare a sua figlia; o il coraggio e la generosità di un combattente che si sacrifica per la libertà di tutti; o un oppresso che sfida il mare per rompere le sue catene e conquistare una speranza. È un disco di storie, insomma, forse stralci del diario di un disertore. Per contro, sullo sfondo ci sono delle bestie di guardia ai cancelli della speranza, quelli per i quali tutto si compra e si vende, che non ti faranno passare se non vendi o non compri anche il tuo diritto alla vita. Il loro profitto passa per la negazione della tua dignità di uomo, ridotto a semplice spettatore sostanzialmente passivo di una vita che non puoi vivere compiutamente. E tutto questo è lampante e sotto gli occhi di tutti,  in nome di un’idea di progresso che si è rivelata autodistruttiva, farlocca. “Atlantide prima della pioggia” parla proprio di questo, per esempio, di come siamo passati dall’essere comunità che lottava per un interesse comune all’essere un branco di cani rabbiosi che si divorano gli uni gli altri. Per finire con la tua ultima domanda: di chi potremmo fare a meno? Dalla diceva “dei cretini di ogni età”. Non mi sento di dargli torto, anzi …

E ora veniamo a questo video che è teaser di un film di Giovanni Coda…

Sì… è un video molto bello nel quale Giovanni Coda, che ne è l’autore, cattura l’essenza della mia canzone. Di fatto il video è diventato una sorta di capitolo aggiuntivo del suo ultimo film, quasi un cortometraggio sperimentale che nasce da una pluralità di voci, dall’unione del battito di molti cuori, cosa che me lo rende ancora più caro.

Ha una simbologia sua, semplice, tagliente: metti il cappello per andare, togli il cappello per restare. Il gesto ritorna sia nei movimenti del narratore della storia, che nel video sono io, sia nei movimenti di Giacomo Curti, l’attore che del video è il vero protagonista; lui che con le mani disegna in aria l’ascesa e la caduta dell’anima tormentata raccontata nella canzone. Il suo personaggio viola costantemente i confini impostigli (vanamente) dalla sua fisicità sofferente, dalla carrozzina sulla quale rifiuta di essere confinato,  fino ad un’immaginaria deposizione dalla croce dove la croce scompare, perché totalmente riscattata con la sofferenza.

Tutto questo avviene in una dimensione onirica accentuata dalla danza di Luana Maoddi, del Circo Zamuner, altri protagonisti del video, una danza che è tanto stupenda quanto disperata, quasi fosse il dibattersi di una falena caduta in trappola che cerca di non soffocare. Un video decisamente diverso per una canzone decisamente non facile… inutile dire che mi piace da impazzire!

E dopo questo primo disco della trilogia, a quando il secondo capitolo?

Il secondo capitolo, manco a dirlo, sarà la colonna sonora del film “Mark’s Diary” che uscirà in primavera nel 2019, a seguito della prima internazionale del film ad Amsterdam. Vedi, “Mark’s Diary” ha un impianto cinematografico molto complesso ed è un film “ballato”, un omaggio alla danza e alla poesia, pur trattando un tema difficile come il rapporto fra disabilità e diritto alla sessualità. Per la colonna sonora del film ho riscritto, letteralmente riscritto (o “andrillizzato”, come dico sempre io fra il serio e il faceto), una serie di brani di Blondie, Depeche Mode, De Andrè, CCCP, Doors, Smiths, Lao Silesu e ho usato anche un paio di inediti miei. Alla prova dello schermo, ma anche del cd che verrà, il risultato è fantastico, ne sono molto fiero. Tra l’altro, questo disco sarà quasi totalmente in inglese, mentre “Uomini, bestie ed eroi” e quasi tutto in italiano, tranne due canzoni in sardo. Il terzo disco, che chiuderà il cerchio, sarà ancora diverso, sarà un tornare a casa dopo avere varcato il mare e stravolgerà totalmente quanto abbiamo fatto fino ad ora. L’ideale sarebbe stato un disco che schizza acido alla fine del primo ascolto, distruggendosi e distruggendo il lettore cd o il giradischi. Una cosa tremendamente punk, ma non credo di essere tecnicamente preparato a fare questa cosa qui.