Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
28/01/2019
Electric Circus
Le interviste di Loudd
Una nuova band si sta facendo strada nel panorama del funk italiano: dopo avere pubblicato un EP autoprodotto ed un singolo live, un tour in America ed aperture in festival per Jethro Tull e GoGo Penguins, gli Electric Circus arrivano al debutto sulla lunga distanza con “Canicola”. Il disco è pubblicato da New Model Label in CD e digitale ed è distribuito anche nei circuiti tradizionali da Audioglobe. Scopriamo qualcosa di più sulla band insieme a Paolo Pilati.

Funk, jazz, un tocco di world music, blues: come nasce un vostro brano?

Diciamo che dipende dal brano, abbiamo sempre dato molto spazio all'improvvisazione in fase di creazione e tutt'ora alcuni dei nostri brani nascono da jam, mentre altri nascono da idee individuali che vengono poi elaborate dal gruppo. Ciò che accomuna tutti i nostri pezzi è invece il “piallaggio” a cui li sottoponiamo in sala prove, cercando di renderli essenziali e curando i particolari dell'arrangiamento.

C'è spazio anche per l'improvvisazione in un vostro live?

Certamente, al di là del fatto che alcune parti dei nostri pezzi sono improvvisate anche in fase di registrazione (assoli e variazioni improvvisate), capita che in chiusura di un live ci si abbandoni ad una jam, in particolar modo quando si aggiungono altri musicisti esterni alla band. Pensiamo che l'improvvisazione, o comunque il fatto di suonare con più persone diverse, sia un ottima palestra per i musicisti, non si finisce mai di imparare dagli altri.

Essere una formazione numerosa è un limite o un punto di forza?

Ha i suoi pro e i suoi contro. Suonare in trio, come all'inizio del progetto Electric Circus era più immediato, gli strumenti da coordinare erano meno, l'improvvisazione aveva spazi più ampi in cui potersi esprimere. Eppure, ora che siamo in sei nel momento in cui un brano prende forma le possibilità che abbiamo sono molteplici, il che aiuta ad avere un confronto con più idee e a non scadere nella ripetitività. Credo sia stato importante e senz'altro positivo per noi il fatto di acquisire nuovi elementi col tempo: attraverso gli anni siamo cresciuti sia di numero che di mentalità. Poi ovviamente sei elementi sono una formazione solo relativamente numerosa, dipende sempre un po' da che tipo di musica si vuole proporre.

Avete suonato in America e anche in qualche festival con artisti importanti, volete raccontarci qualcosa della vostra esperienza?

È vero, abbiamo avuto la fortuna di aprire (o meglio chiudere) per gruppi come Jethro Tull e GoGo Penguins e sono state sicuramente due gran belle esperienze. Negli Stati Uniti abbiamo avuto modo di suonare in diverse città tra Arizona, California e Colorado (Los Angeles, San Diego, Phoenix, ecc.). Inoltre, a Tucson (Arizona), abbiamo registrato “Mike” il singolo del nostro primo album “24/7”. L'esperienza è stata fantastica, la gente che abbiamo incontrato ci ha sempre dimostrato sostegno, sia ai concerti che nelle stazioni di servizio. Ci siamo divertiti tanto e porteremo sempre i Saguaro del deserto di Sonora nei nostri cuori, sperando di poterci tornare prima o poi.

Dopo che sono usciti artisti come Calibro 35, stiamo vedendo in Italia una nuova tendenza, sempre più giovani band dedite a musica strumentale. Avete notato qualcosa anche voi? C'è maggiore attenzione rispetto agli anni passati?

I Calibro 35 sono presenti ormai da un po' di anni, non sono certo sbucati fuori poco fa e la musica strumentale in Italia c'è sempre stata ed ha sempre avuto un certo rilievo. Penso ai Goblin negli anni '70, ma anche al panorama classico più recente: Morricone e Nino Rota che sono parte della storia della musica non solo italiana, ma mondiale. Un brano strumentale viene concepito spesso come un semplice accompagnamento, una sorta di colonna sonora che perderebbe valore se non accostasse qualcosa di visuale. Gli stessi Calibro son diventati conosciuti con cover di colonne sonore di film polizieschi. D'altronde se non hai un testo cosa puoi voler dire? Oggi però, anche grazie alla “globalizzazione” musicale, la gente in Italia è più abituata a variare negli ascolti, e ad accettare la novità come una cosa positiva. Penso che probabilmente la crescita del “genere” strumentale sia dovuto a fattori di questo tipo, ovvero culturali e tecnologici.

Siete nati a Trento ma ora vivete a Torino. La scelta nasce dalla musica o da altro?

Lo spostamento nasce essenzialmente da situazioni e scelte personali legate ai nostri percorsi universitari. Sicuramente Torino ha una scena musicale più viva rispetto a Trento, il che è stato un buon incentivo a spostare il nostro nucleo qui. Fatte queste premesse, tre dei nostri attuali elementi sono di Torino e dintorni; mentre il nostro batterista abita a Bologna. Fin da quando eravamo in trio non siamo mai riusciti a riunirci nella stessa città! Il che rende tutto più difficile da organizzare, ma poco importa, alla fine siam sempre riusciti a far prove e a trovare il nostro equilibrio e questo è quel che conta.