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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
06/02/2019
Bob Moses
Le interviste di Loudd
La loro elettronica minimale e notturna disegna paesaggi affascinanti con pochi tocchi ispirati, tanto che hanno sicuramente la strada spianata per divenire uno dei punti di riferimento in questo genere. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con loro, per introdurre al meglio il loro concerto italiano di venerdì 8 febbraio, quando si esibiranno al Tunnel Club di Milano. (A cura di Luca Franceschini)

I Bob Moses vengono da Vancouver ed hanno realizzato un disco, “Battle Lines”, che è finito direttamente tra i miei preferiti del 2018. Il grande pubblico li aveva però già scoperti l’anno prima, quando la loro “Tearing Me Up”, nella versione remixata da RAC, si è portata a casa un Grammy per il miglior remix. Del resto, Tom Howie e Jimmy Vallance sono esattamente questo: due autori di canzoni dotatissimi ma allo stesso tempo produttori dalla grande versatilità e classe. La loro elettronica minimale e notturna disegna paesaggi affascinanti con pochi tocchi ispirati, tanto che hanno sicuramente la strada spianata per divenire uno dei punti di riferimento in questo genere. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con loro, per introdurre al meglio il loro concerto italiano di venerdì 8 febbraio, quando si esibiranno al Tunnel Club di Milano.

Ciao ragazzi! Iniziamo dal vostro nuovo album “Battle Lines”: mi sembra un bel passo avanti rispetto al precedente… che cosa potete dirmi a riguardo?

Il disco è stato accolto molto bene ed è davvero una bella esperienza portarlo sul palco. Siamo molto eccitati all’idea di venire nuovamente in Europa a suonare. Abbiamo voluto sfidare noi stessi e spingere più in là i nostri confini e diciamo che siamo molto contenti del risultato!

Come avete lavorato nel progetto di scrittura? È cambiato qualcosa da questo punto di vista?

Abbiamo cambiato qualcosa e abbiamo cercato di metterci in discussione, sia nella scrittura che nella registrazione. Abbiamo affittato una casa a Los Angeles e ci abbiamo costruito dentro uno studio. Ci siamo fatti ispirare molto dalla zona del Laurel Canyon, che è lì vicino a dov’eravamo noi. Molti artisti famosi come Frank Zappa, Crosby, Stills Nash and Young, The Band, Nine Inch Nails, hanno vissuto e registrato su quelle colline per cui avevamo la sensazione di avere attorno un sacco di storie e parecchia energia creativa. Abbiamo anche cercato di lavorare con alcuni collaboratori esterni e abbiamo completato la maggior parte delle canzoni con l’aiuto del produttore Lars Stalfors, che ci ha aiutato a spingerci più in là del nostro solito. In qualche modo avevamo bisogno di un “allenatore” che ci spronasse a tirar fuori il meglio da noi stessi e davvero lui è riuscito a stimolarci e a chiarire le idee che avevamo. Inoltre, abbiamo registrato molti più strumenti dal vivo rispetto a prima, un qualcosa che ci è venuto dall’aver partecipato a parecchi festival e a concerti assieme ad un batterista che suonava con noi. In poche parole, abbiamo cercato di scrivere la musica più bella di cui fossimo capaci!

Il titolo “Battle Lines” da dove è venuto fuori? In che modo si combina con la copertina?

Volevamo chiamare il disco come una delle canzoni in scaletta e abbiamo scelto quella che secondo noi fotografava meglio il messaggio complessivo che abbiamo espresso nei testi. Questo è un album che ha a che fare con le lotte che tutti noi attraversiamo nella vita: con noi stessi, con la società, con il tentativo di essere esattamente la persona che vogliamo essere. Parla di come queste lotte (o, per usare un’altra parola, battaglie) diano forma e definiscano quello che siamo ed il modo in cui interagiamo con il mondo. Queste “Battle Lines” definiscono noi e definiscono le nostre vite. Ci è sembrato che questo titolo si adattasse al messaggio che abbiamo provato a trasmettere in ogni canzone ed è per questo che abbiamo deciso di usarlo.

La vostra proposta è una combinazione perfetta tra la componente elettronica e la ballata intimista e crepuscolare. Qual è l’elemento più importante per voi?

Abbiamo sempre guardato il nostro gruppo come all’equilibrio ideale tra l’uomo e la macchina. Amiamo entrambi il lavoro di produzione ma anche il processo di scrittura, mettere insieme testi e melodie, per cui sin dall’inizio sapevamo che avremmo voluto trovare il modo per scrivere le migliori canzoni e allo stesso tempo dar loro il miglior suono, trovare la nostra personale vibrazione, come una sorta di combinazione di tutte le nostre influenze e di tutte le nostre fonti di ispirazione. Ci piace tantissima musica strumentale ma anche tantissime canzoni che sono semplicemente delle performance senza troppi strumenti o trucchi da studio. Crediamo che la musica migliore abbia il giusto mix di entrambi gli elementi ma se dovessimo scegliere, diremmo che è la canzone in sé quello più importante. Non c’è veramente niente che possa battere una grande canzone. Una bella melodia ed un bel testo possono riassumere la vita in maniera così semplice e piacevole da farti sentire a casa nel giro di un istante, qualunque sia il posto in cui ti trovi. Sinceramente, il pezzo più bello che vorrei sentire prima di morire è una bella canzone, prima ancora di un grande suono o di un beat ben prodotto…

Come sta andando il tour? Mi raccontate qualche cosa di divertente che è successa in questo periodo o in tempi recenti?

Sta andando alla grande! Ci sono stati un sacco di grandi momenti: una volta stavamo suonando ad un festival, durante un after party, in questo club con due sole stanze ed un backstage con un camerino condiviso. Stavamo suonando nella sala più grande e, contemporaneamente, c’era un’altra band che si esibiva in quella più piccola. Improvvisamente arrivano queste donne che cominciano a servirsi dal nostro buffet, immagino perché convinte che quello fosse il loro camerino. A quel punto Pat Smear, (te lo ricordi? Era il chitarrista dei Nirvana e poi è entrato nei Foo Fighters) mette dentro la testa e fa: “No ragazze, non è roba nostra, lasciatela stare!” E noi eravamo seduti lì a dire: “Oh cazzo, Pat Smear ha davvero messo la testa dentro il nostro camerino?”. Alla fine è venuto fuori che la band che suonava al piano di sotto erano i Foo Fighters e occupavano il camerino a fianco al nostro, erano lì con le loro mogli e un po’ di amici. Praticamente avrebbero dovuto fare da headliner a quel festival la sera successiva ma siccome era due anni che non suonavano dal vivo, volevano scaldarsi un po’ e hanno organizzato questo secret show in quel piccolo club. Per cui siamo andati a vedere una delle più grandi band della storia del rock suonare davanti a poco meno di mille persone! È stato meraviglioso! Alla fine siamo stati insieme nel backstage ed è finita che abbiamo diviso con loro il nostro camerino. Abbiamo chiacchierato parecchio col loro tour manager, che ha lavorato in passato anche coi Nirvana, per cui ci ha raccontato un sacco di storie pazzesche. Jimmy si è fatto anche una foto assieme a Dave Grohl! È stata davvero un’esperienza fantastica e divertente, probabilmente una delle cose più assurde che ci sia successa in tour!

Tra qualche giorno sarete a Milano: che aspettavate avete per questo concerto?

Siamo molto impazienti di venire in Italia. Mangeremo un sacco di ottimo cibo! Il Tunnel è davvero un gran posto, ci avevamo già suonato qualche anno fa e ci eravamo trovati molto bene. Abbiamo davvero voglia di incontrare il pubblico e di fare un grande show!

Che cosa farete alla fine di questo tour? Scriverete nuova roba? Vi prenderete una pausa? Andrete ancora in tour?

In realtà noi scriviamo in continuazione cose nuove e abbiamo anche un sacco di concerti da fare per tutto il 2019 per cui immagino che faremo un po’ tutte e due le cose! Abbiamo già prenotato lo studio per quei periodi in cui non saremo in giro a suonare e, allo stesso tempo, faremo parecchi festival quest’estate. Ci riposeremo anche un po’ ma non troppo: vogliamo lavorare duro in modo da poter tornare con del nuovo materiale il prima possibile!