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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
29/04/2019
Mario Acquaviva
Mario Acquaviva
Sventurato paese il nostro: avere avuto un artista che era quanto di più vicino all'arte di Donald Fagen e aver voltato la testa.

Le reazioni che ho avuto ascoltando l’Ep omonimo di Mario Acquaviva uscito nel 1983, sono state di sorpresa, meraviglia e rabbia. Intendiamoci, sono per natura un bastian contrario, come ogni toscano che si rispetti, mi piace andare a scovare roba che più snob non si potrebbe, mi piace il pop inteso come arte della canzone orecchiabile ma rifuggo da qualsivoglia ruffianeria che un ritornello può essere in grado di procacciare nell'ascoltatore distratto. Quindi, come vedremo, in "Mario Acquaviva" di carne al fuoco ce n'è molta.

La sorpresa: vi confesso che del musicista napoletano fino a poco tempo fa niente ne sapevo e tanto meno mi immaginavo che in Italia, una trentina di anni fa, ci fosse stato un artista che prendendo spunto dal pop impelagato con il jazz (Steely Dan? Steely Dan!) in grado di creare un capolavoro della canzone tricolore e soprattutto in grado di farselo pubblicare. Che poi non abbia venduto niente avreste potuto scommetterci una bolletta e ahivoi ci avreste vinto poco, dacché certe proposte sono come delle predicazioni nel deserto e facile è indovinare la sorte dei malcapitati che azzardano ad uscire dai canoni della canzonetta da Festivalbar. Che poi, lì, al Festivalbar, il signor Acquaviva c'è anche andato, nel 1983, ma probabilmente in quel contesto è passato più inosservato di un gatto nero nella notte.

La meraviglia: un disco, questo "Mario Acquaviva", che come minimo andrebbe ascoltato fino allo sfinimento per capire quanto geniale e preziosa sia stata la maestria dell’autore. "Notturno Italiano" il pezzo che traina il disco dice già tutto del nostro e ne faceva presagire mirabilie in futuro, se soltanto fossimo stati un paese più ricettivo per questo tipo di sonorità; un superbo esempio di fusione tra pop jazz e funk suonato come meglio non si potrebbe (e qui il plauso va ai turnisti che vi parteciparono, tra cui Faso e il povero Feiez, in futuro con Elio e Le Storie Tese); poi lasciatemi dire che se non bastasse questo, il disco suona BENE; dico, l'avete presente il piattume dei dischi registrati in Italia? Bene, qui sembra davvero di stare in uno studio di Los Angeles, dove niente viene lasciato al caso, e il risultato è quello di avere tra le mani un pezzo unico, l'unico paragone possibile per i dischi editati in Italia in quel periodo è con quelli della Numero Uno, l'etichetta di Battisti.

Gli altri tre brani del disco al cospetto di "Notturno Italiano" passano quasi inosservati ma rimangono comunque dei piccoli gioiellini pop che se rapportati a quanto girava al tempo sono indice di sapienza compositiva e maestria nel cercare quelle trame melodiche ed armoniche mai scontate.

Ci vorranno altri quattro anni affinché Acquaviva riesca a realizzare il secondo disco, "Sogni e Ridi" questa volta in formato LP e qui le intuizioni del primo lavoro saranno sviluppate in maniera compiuta, lavorando di sintesi ma sempre nel solco del pop dagli afrori jazzati.

Ma voi pensavate davvero che la maggioranza degli ascoltatori italiani fosse pronta per i cambi armonici, i ritmi spezzati, i ritornelli mancanti (possiamo azzardare che Acquaviva abbia “evoluto” il suono del Neapolitan Power)?

Sventurato paese il nostro, avere avuto un artista che era quanto di più vicino all'arte di Donald Fagen e aver voltato la testa.

Di Acquaviva trovate poco o niente in rete, anzi, se qualcuno ne sa qualcosa di più è il benvenuto, so che gode di buona salute ma purtroppo non ha pubblicato nient'altro.

Di questo EP, introvabile da anni o quasi, se non nei soliti canali a prezzi esorbitanti, dovrebbe uscire, spero a breve, una ristampa per la Archeo Recordings di Firenze, ma non so dirvi quando; ho contattato il responsabile dell'etichetta e mi ha comunicato che ancora e purtroppo ci sarà da aspettare.