Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
30/07/2017
Bruce Springsteen
The Rising
Pochi giorni dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, Springsteen stava camminando lungo una spiaggia del New Jersey quando un uomo lo accostò in auto e, dopo avere abbassato il finestrino, gli gridò: "Abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno adesso!".
di Alessandro Menabue

Quando il 30 luglio 2002 Bruce Springsteen pubblicò "The Rising", la curiosità nei confronti del dodicesimo album di studio del rocker del New Jersey (alimentata da una massiccia campagna promozionale) era considerevole. Tanta attenzione era giustificata da una serie di ottimi motivi. Il disco - a diciotto anni di distanza da "Born In The U.S.A. - vedeva finalmente riuniti in studio il Boss e la E-Street Band che, nei due anni precedenti, avevano celebrato la ritrovata fratellanza musicale con le oltre 130 date del "Reunion Tour", imponente giro di concerti eternato dal doppio album "Live in New York City" (marzo 2001). Altro motivo di interesse era la chiusura della collaborazione con gli storici produttori Jon Landau e Chuck Plotkin, sostituiti in studio di registrazione da quel Brendan O'Brien che negli anni precedenti si era distinto per le sue importanti collaborazioni, in particolare con Pearl Jam, Soundgarden, Red Hot Chili Peppers, Aerosmith e Rage Against The Machine. "The Rising" era inoltre considerato da molti critici musicali come una sorta di verifica della salute compositiva di Springsteen agli albori del nuovo millennio; durante gli anni 90, il musicista aveva infatti offerto prove discografiche piuttosto discontinue, alternando lavori di spessore come "The Ghost Of Tom Joad" (1996) ad altri decisamente deludenti come "Human Touch" e "Lucky Town", pubblicati in contemporanea nel marzo 1992 e quasi unanimemente considerati i suoi dischi più scadenti (perlomeno fino all'uscita di "Magic" del 2009). L'interrogativo che tutti quanti si ponevano era semplice: l'album avrebbe restituito un Boss all'altezza del suo leggendario passato o si sarebbe rivelato il flop di un artista vittima di una nuova - e a quel punto difficilmente sanabile - crisi creativa? La risposta è tutta nelle quindici canzoni di "The Rising": a tre lustri di distanza dalla sua uscita, il disco conserva inalterata la sua forza. Una compattezza che va ricercata nella sincera ispirazione delle canzoni (l'unico momento davvero debole lo si trova a metà dell'album, nel prescindibile pop di Let's Be Friends), nella solidità delle esecuzioni e soprattutto nella profondità di un messaggio che ancora oggi, soprattutto oggi, resta attuale. Pochi giorni dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, Springsteen stava camminando lungo una spiaggia del New Jersey quando un uomo lo accostò in auto e, dopo avere abbassato il finestrino, gli gridò: "Abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno adesso!". Stando alle sue stesse parole, fu in quel momento che Bruce comprese che aveva un lavoro da fare: tradurre in musica e versi l'orrore, lo stordimento e la paura che atterrivano milioni di persone, lui compreso, e trasformarli in un messaggio di speranza e di unione. Non si trattava solamente di un dovere artistico ed intellettuale ma di una precisa responsabilità nei confronti del suo pubblico che da lui si aspettava, se non delle risposte, almeno delle parole che portassero conforto e fiducia nel domani. Se il valore di un disco lo si calcola anche sulla base della capacità del suo autore di veicolare il proprio pensiero, allora "The Rising" centra il suo obiettivo. Non è uno Springsteen belligerante o in cerca di vendetta, quello che nelle tracce dell'album vaga "sotto un cielo segnato di sangue", tra città in rovine, cadaveri seppelliti sotto cumuli di acciaio e cemento, pompieri che corrono "su per le scale, dentro il fuoco". Il suo sguardo dolente ma non arreso si posa sulle vittime, sulle famiglie che piangono la loro scomparsa, sugli eroi che hanno dato la vita nel tentativo di salvare quante più persone possibile; si posa compassionevole su quei ragazzi che, in nome di un ideale religioso distorto,  "trattengono il respiro, chiudono gli occhi e aspettano il paradiso". Non è una chiamata alle armi quella di "The Rising"; per quello ci sono i politici che, quando si tratta di mandare al macello migliaia di giovani, si dimostrano efficienti e meticolosi. È piuttosto l'esortazione a farsi strada attraverso l'oscurità, attraverso il proprio dolore; è l'invito a rialzarsi, a risorgere, a ritrovare la forza, la fede nel futuro e la fiducia negli uomini. Ad avere speranza. In fondo è anche a questo che serve la musica.