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REVIEWSLE RECENSIONI
16/05/2019
SOAK
Grim Town
Abbandonata la formula semplice degli esordi, gli arrangiamenti si fanno più complessi, lo spettro sonoro si inspessisce e in diversi punti compaiono elementi e suggestioni Pop, talvolta con un tocco adolescenziale che non ci saremmo aspettati da lei.

Nelle mie personali statistiche concertistiche (come se a qualcuno interessasse davvero) SOAK incarna un poco invidiabile primato: è l’unica artista che il sottoscritto abbia visto dal vivo per due volte nello stesso giorno. Era il Primavera Sound del 2015, la domenica, quando gli appuntamenti più importanti del festival sono ormai conclusi ma ci sono ancora concerti interessanti in diversi luoghi della città. Fu proprio in quell’occasione che mi capitò di imbattermi in Bridie Monds-Watson, il cui esordio “Before We Forgot How To Dream” sarebbe se non sbaglio stato pubblicato di lì a poco. La vidi in un parco del centro a metà pomeriggio, sotto un sole cocente, la rividi eseguire lo stesso set la sera stessa all’Apolo, poco prima di Torres, che era stata aggiunta all’ultimo momento alla line up per rimpiazzare non ricordo più chi.

La ragazza mi piacque, in quelle occasioni. Furono due esibizioni scarne ma intense, chitarra e voce, con un songwriting convenzionale ma senza dubbio gradevole. Ascoltai il disco quando uscì, mi piacque abbastanza e poi me ne dimenticai, come ormai da triste prassi in questi tempi bulimici.

Tutto questo fino a quando, alla fine di aprile, a quasi quattro anni di distanza dal debutto, è uscito “Grim Town”. Partiamo da un dato: il periodo trascorso tra i due lavori non dev’essere stato dei più facili per lei. Ha parlato di aspettative alte difficili da soddisfare, di insicurezza e di depressione. Tanto che, per cercare di sconfiggere l’inquietudine che si sentiva dentro, non ha trovato nulla di meglio che incanalarla all’interno di un luogo immaginario, creato per l’occasione.

Ecco dunque “Grim Town”, scenario distopico liberamente ispirato alla sua Derry, città che è anche quella con più alto tasso di suicidi nel Regno Unito.

Se vogliamo, la particolarità del disco sta tutta qui: realizzare un concept album, o comunque qualcosa di simile, con un’impronta pseudo fantascientifica, all’interno di un genere codificato come il Folk Rock di matrice europea, che davvero nulla si presta a simili operazioni.

“Benvenuti a bordo del treno 432 Lassitude per Grim Town. Se siete in piedi, per favore continuate a stare in piedi. Non ci sono posti a sedere in più. Si ricorda che questo treno è riservato alle seguenti categorie: beneficiari di credito universale o di salario minimo, solitari, disillusi, perduti, addolorati. Tutti coloro che non sono sottoposti a trattamento medico e che hanno salari o piani pensionistici, sono per favore pregati di abbandonare immediatamente i vagoni. Ai passeggeri sarà richiesto di scendere e di viaggiare sulle proprie ginocchia da questo momento in avanti. Non saranno disponibili generi di conforto. Per favore abbandonate ogni fede, aspirazione od ottimismo al personale del binario, se non l’avete ancora fatto. In caso di inconvenienti, non ci saranno rimborsi o compensazioni. A bordo non sarà disponibile nessun rinfresco. Buon viaggio.”.

C’è un treno, dunque, come nella migliore tradizione americana, ed è carico di disperati e di perdenti, di rifiuti umani. Qui però non siamo in uno Spiritual e dunque non c’è nessuna redenzione, nessuna Terra Promessa. Grim Town è una città immaginaria ma è anche pericolosamente vicina al mondo reale. Impossibile trovare conforto per le proprie angosce, rimedio alle proprie paure. L’idea, dopo tutto, era proprio questa: creare un universo fittizio per avere la possibilità di esorcizzare il male e, se possibile, recuperare il proprio equilibrio mentale.

E così ecco il paradosso di un disco che, pessimista e oscuramente drammatico nei testi, tutti pervasi da un senso indefinito di rinuncia e sconfitta, di sforzi non andati a buon fine, presenta un paesaggio musicale aperto e luminoso, con il valore aggiunto di un songwriting decisamente migliorato.

Rispetto al primo disco, infatti, Bridie appare più cosciente dei propri mezzi, più lucida nell’espressività ed inanella un insieme di canzoni che, al netto di una lunghezza dell’insieme probabilmente eccessiva, si presentano senza dubbio di buon livello.

Abbandonata la formula semplice degli esordi, gli arrangiamenti si fanno più complessi, lo spettro sonoro si inspessisce e in diversi punti compaiono elementi e suggestioni Pop, talvolta con un tocco adolescenziale che non ci saremmo aspettati da lei.

È quindi un lavoro molto vario nei ritmi, con episodi energici come l’iniziale “Get Set Go Kid” o il primo singolo “Knock Me Off My Feet”, ad alternarsi con ballate tristi come “Maybe” o “YBFTBYT”, sorta di rivisitazione in chiave più matura del sound del primo disco.

Su tutte svetta poi “Dejà Vu”, un irresistibile up tempo dal ritornello ultra-Pop (rimandi addirittura al Bryan Adams del primo periodo) che dimostra come SOAK sia in possesso davvero di un grande talento.

Peccato solo che il livello non sia sempre così alto e che, col prosieguo dell’ascolto, la stanchezza inizi a farsi sentire. Questo “Grim Town” è senza dubbio un buon passo in avanti e ci obbliga a non dimenticarci mai più della Watson in futuro. Il vero salto, quello della consacrazione, è tuttavia ancora al di là da venire. Abbiamo comunque tutto il tempo di aspettare.


TAGS: folk | grimtown | pop | recensione | roughtrade | soak