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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
17/05/2019
Barbara Howard
On The Rise
Niente abiti di strass e palcoscenici con sotto il pubblico che ti osanna, nessun Ed Sullivan Show e American Bandstand, nessuna hit da classifica per Barbara Howard: per lei un lungo oblio durato cinquantun anni, da quel lontano 1968 quando quei pochi fortunati ebbero modo di ascoltare il suo unico album, “On The Rise”.

Del resto, con una tiratura di solo 500 copie, in un paese sì vasto come l’Unione degli Stati americani del Nord, è già una buona sorte che il suo disco sia giunto sino a noi in forma di ristampa, uscita giusto in questi giorni.

Caso davvero fortuito, che una copia del vinile originale, ancora sigillato, sia giunta dentro il negozio di vinili Plaid Room Records di proprietà dei tipi dell’etichetta Colemine Records, i quali, una volta ascoltatolo, abbiano deciso di ristamparlo.

Ma facciamo un passo indietro. Barbara Howard da Cincinnati, Ohio, ieri come oggi, fu una delle tante cantanti in erba che parteciparono ad un contest per la ricerca di talenti, nel caso specifico lo scopritore fu Steven Reece, che nel 1968 lavorava per l’organizzazione “Operation Step-Up”, che aveva appunto il compito di scovare talenti locali per organizzare dei concerti per la promozione dei diritti civili. Per farvela breve, il buon Reece ascoltò la voce di Barbara Howard e ne rimase talmente fulminato da creare una casa discografica appositamente per farle incidere tre singoli più l’album “On The Rise”; questa fallì dopo 18 mesi e i due convolarono a nozze procreando tre figli, dei quali uno diverrà poi membro del congresso americano.

Sì, ma insomma, cos’ha di tanto speciale questo disco? Prima di tutto la voce della Howard, che se fosse nata a Detroit avrebbe fatto le scarpe a tante presunte dive e divette della casa delle hit, una voce riconducibile alle morbidezze di una Tammi Terrell e alla potenza di una Mavis Staples. Non a caso “On The Rise” è stato costruito come un piccolo bagnami: c’è dentro il rock, il soul più torrido in quota Stax, qualche raffinatezza riconducibile al jazz, fino al pop più brillante, il tutto arrangiato senza tanti fronzoli, diretto e compatto.

Riascoltando l’album, pensate alla fortuna che ha avuto Steven Reece: avere una moglie e una cantante di cotanta bravura tutta per sé, magari che so, sentirla cantare “Light My Fire” mentre si accingeva a preparare il barbecue, o “You’ve Made Me Very Happy” al risveglio al mattino, cantare “I Need You” alla sera nel momento di coricarsi, “Welcome Home” quando il marito tornava a casa dal lavoro e via così.

Insomma, un uomo veramente fortunato. Un po’, di quel quadro familiare, adesso e finalmente ne siamo diventati partecipi anche noi.

Altamente consigliato.


TAGS: barbarahoward | black | funky | ontherise | pop | reloudd | soul