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REVIEWSLE RECENSIONI
29/07/2019
Laville
The Wanderer
“Anche solo lavorando nella vendita al dettaglio - dovevo arrivare in cima. È lo stesso con la musica". Così parlò Laville: vi invito a fare altrettanto. Lavorate duro anche nei vostri ascolti, siate curiosi, non fermatevi ai soliti tre artisti tre e forse vi si stureranno le orecchie.

Si è fatto un gran parlare negli ultimi mesi di rinascita della scena jazz londinese mentre poco si è detto del movimento neo-soul che dalla metropoli inglese va spargendo i suoi semi nell’etere. Complice la gloriosa ed imprescindibile etichetta Acid Jazz se a ragione possiamo parlare di rinascita del genere; che già il soul lo ha fatto rinascere all’inizio degli anni 90 e in un caso almeno ha avuto l’intuizione di fare esordire i Jamiroquai facendo diventare il suo leader, Jason Kay, una stella di prima grandezza.

Probabilmente non sono più i tempi di allora, anzi, sicuramente proprio no, ma quello che gira sul mio piatto adesso, ovvero “The Wanderer”, l’esordio di Laville, artista che arriva dalla parte nord di Londra, prova a rompere la barriera che separa la fuffa dalla buona musica. Buona musica sì, hai voglia a dire che i gusti sono soggettivi, ho la presunzione di dire che la buona musica la si riconosce e la merda, anche ci mettete sopra il parmigiano, sempre merda resta.

Ad esempio, un disco è bello quando diventa evocativo: prendi il brano d’apertura, “Easy”, con quel suo incedere gospel e quel suono di organo che ha la voce di chi alfine riesce a ritrovare per un breve attimo la serenità perduta. Un pezzo che descrive le radici di Laville e la forza che ha avuto per cambiare la sua esistenza (il ragazzo ha studiato, viaggiato e si è fatto il culo nei migliori locali di Londra come pure nei ristoranti stellati Michelin) ed arrivare a cogliere l’occasione di diventare un nome che potremo ricordare nel tempo. E quella voce, cazzo! Morbida e carezzevole come la morbida pelliccia di un gatto.

“The Wanderer” ha il pregio di suonare fresco e non dà spazio alla noia; predilige i toni soft, le ballad mid-tempo, ci ricorda che la disco non è quella merda che vi hanno fatto credere che fosse, “This City” è un omaggio all’arte di Nile Rodgers, alla disco meno zarra, unico pezzo che si discosta dall’andamento smooth del lavoro.

Se non bastasse, Laville, con la cover di “What You Won’t Do For Love”, ci ricorda di un altro grande artista semi sconosciuto qui da noi e di quanto fosse unico: Bobby Caldwell. Autore del brano in questione, Caldwell è il paradigma di quelli che amano tirare merda su tutto un mondo fatto di artisti che prediligono la perfezione nella scrittura musicale, insomma tutti quei maestrini del nulla che alla bisogna e per identificare il genere tirano fuori immancabilmente il nome di Cristopher Cross, ignari di tutto quello che è stato prodotto nel corso degli anni. Lo hanno chiamato “Yacht Rock”, terribile neologismo che non significa niente, se non identificare la presunzione di chi si erge nel dare giudizi ad mentula canis.

Fortunatamente Laville se ne impipa di tutto ciò e se n’è uscito con una versione quanto mai fedele all’originale, questo perché nel brano non c’è niente da migliorare o cambiare, aggiungendovi il carico della sua bellissima voce.

Unica cover presente sul disco, dove tutto il resto è tutta opera della penna di Laville, coadiuvato nella produzione da Tristan Longworth; nonostante egli sia alla sua opera prima, ha tempo per regalarci due vertici assoluti come non ascoltavo da tempo: “The Truth” pezzo soul blues di amore e disperazione, e il capolavoro del disco che segue a ruota, “The Answer”, brano sulle relazioni che diventano tossiche come una droga dove sai che “non dovresti, mai lo fai e ti senti bene”, accompagnato qui dalle malinconiche note di una tromba.

“Anche solo lavorando nella vendita al dettaglio - dovevo arrivare in cima. È lo stesso con la musica". Così parlò Laville: vi invito a fare altrettanto. Lavorate duro anche nei vostri ascolti, siate curiosi, non fermatevi ai soliti tre artisti tre e forse vi si stureranno le orecchie.


TAGS: AcidJazz | black | Laville | LeoGiovannini | R&B | recensione | soul | TheWanderer