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THE BOOKSTORECARTA CANTA
“La scomparsa della musica”: nessun nichilismo ma solo sperata ricostruzione
Antonello Cresti
2019  (NovaEuropa Edizioni)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
29/07/2019
Antonello Cresti
“La scomparsa della musica”: nessun nichilismo ma solo sperata ricostruzione
“Ridare centralità alla musica significa oggi rimettere l’Uomo al centro del discorso […] rompere le catene e provare a pensare a qualcosa di diverso – in ogni ambito – forse potrebbe essere un regalo che facciamo alle nostre vite. E questo vale più di qualsiasi posizione teorica…” (A. Cresti)

Senza alcun giro di parole, penso che libri come questi dovrebbero popolare la quotidianità dei più giovani, dai banchi delle scuole agli eventi dei locali. Senza troppi giri di parole, senza erigere miti e star (concetti demoliti ampiamente) e con ampia serietà, trovo che questo sia uno dei libri più importanti che ho avuto modo di leggere di recente.

La redazione di LOUDD mi concede “fogli” bianchi per incontrare opere e scriverne a seguire. Io ne approfitto e ne faccio incetta come un bimbo davanti alla nutella. E ci sono occasioni in cui l’incontro diviene a suo modo anche scontro non violentoscontro che non significa distruzione né offesa. Ma qui scontro significa costruzione, analisi, apertura a doni non misurabili a priori con la banalità metrica a cui la società dei consumi di oggi ci ha educati. Ecco una parola importante: educati. Siamo ormai in un’epoca in cui l’educazione di massa ha raggiunto una qualità operativa di impressionante efficacia ed è costantemente diretta alla distruzione della personalità individuale. Siamo ormai ad una tale deriva che discorsi come questo, ormai divenuti purtroppo anche di moda e rappresentati in ogni dove, si trovano rivolti ad un popolo sempre più distante e malato di aridità emozionale e critica. E ci sono due concetti su cui premo l’evidenziatore. Discorsi che sono ovunque, dunque ormai non sono più. Come la musica, scomparsa anche per questa sottile quanto grave ragione. Ed il secondo concetto, che mi riguarda da vicino, è che spesso siamo semplicemente come colui che mugugna e si limita a fare questo, senza dare alcun contributo propositivo alla soluzione dei problemi (come ci dirà Cresti tra poco): ha ragione lui, mi sento inerte e passivo e nello scrivere questo piccolo articolo un poco mi rendo ridicolo nel confrontarmi con chi è davvero un partigiano della lotta armata alla controcultura e al contropensiero.

Si intitola “La scomparsa della musica. Musicologia col martello” il bellissimo libro edito da NOVAEUROPA Edizioni che vede in campo sette penne culturali di grande spessore. Il cuore portante della lettura si concentra in una lunga e interessantissima intervista che il filosofo Stefano Sissa rivolge ad Antonello Cresti (saggista, compositore e agitatore culturale) e il quasi omonimo Renzo Cresti (musicologo e docente di storia della musica presso il Conservatorio di Lucca). Ma poi tra prefazioni e postfazioni troviamo contributi preziosissimi a curati da Giancarlo Cardini, Donatella Del Monaco, Enrica Perucchietti e dal grandissimo Pino Bertelli.

Finite queste sterili note di ufficio, torniamo alla cruda denuncia sociale: l’intervista mette a nudo con severità e competenza, quale immenso decadentismo sociale si rende ormai sfacciato, quotidiano, protagonista e complice di una disfatta artistica e culturale… e non trovo altre parole che siano più adatte per questa rappresentazione. Ad un lettore superficiale e di cassetta, l’abitudine e l’occasione per far con la testa. Alla sensibilità altra di un lettore coinvolto e ferito da queste problematiche, quel senso bifronte tra sconfitta e rivoluzione: come il volto del dio Giano, tra passato e futuro, qui - ad essere altri nello spirito - ci si misura con la resa di conti (appunto severa) su quel che stiamo diventando tutti, mescolando questo senso di sconfitta ad un altro foriero di bellissima energia, di salvezza, senso a suo modo primigenio che lascia intravedere un bagliore all’orizzonte, forte, dovuto, voluto… sperato.

Questo libro demolisce senza pietà, fa tabula rasa col martello senza il becero gusto di contraddire l’ovvietà di oggi… che ovvietà si vuol far apparire per comodità mediatica. Questo libro, dopo la demolizione, fa semina nuova nei campi che restano per raccogliere (speriamo) fiori puliti in un futuro prossimo di là da venire.

Ho intercettato Antonello Cresti e penso di dovermi fermare ancora tanto. Ho scoperto un nuovo modo di stare al mondo, che poi era assai antico e assai radicato in tanti pensieri che avevo nelle tasche… da questo libro lungo poco meno di 150 pagine, ho riportato a casa pensieri, letture, stimoli e rivoluzioni interiori… e quel certo pudore che diviene rabbia e che non è fatto delle tante retoriche chiacchiere lanciate a portata di vino e poi lasciate asciugare sul bancone del bar.

Si fa pulizia… non polizia.

Ho trovato questa lettura violenta e indispensabile. Ho dovuto accantonarla per un poco e leggerla piano perché ha fatto male dentro, mi ha lasciato mille spunti di riflessione e altre mille letture da fare. L’ho trovata salvifica ma (ahimè) anche deputata a perdersi nei meandri dell’indifferenza quotidiana, credo. Ma di questo parleremo poi. Ora voglio sottolineare un primo passaggio importante che in più parti viene sottolineato: questo decadentismo sociale, questa ignoranza, questa indifferenza che in fondo non è un problema di cultura ma un problema di mentalità, di consapevolezza e di presa di coscienza. Manca il potere critico così come manca l’educazione di stare al modo in un certo modo. La cultura, l’arte, la curiosità… ne sono dirette conseguenze… non è così?

Innanzitutto le tue parole iniziali mi hanno fatto pensare a quanto diceva Cioran nel suo “Squartamento”: “Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo”. Non nego che ciò mi faccia piacere. Il pensiero critico prospera in una società in cui ogni singolo individuo pensi in un modo o nell’altro di essere padrone della propria vita, artefice del proprio destino. Quando siamo condannati alla passività e alla apatia non resta che lasciarsi trascinare dalla corrente, con gli esiti nefasti che tutti conosciamo. Purtroppo un’arte senza pensiero critico è un’arte a metà, incapace di rappresentare davvero istanze collettive e individuali. Per questo nel nostro libro parliamo di una musica ridotta a soprammobile, e cerchiamo di rimettere le basi per una riflessione non solo superficiale sui fenomeni sonori.

E pare quindi evidente come il sistema organizzato remi a favore di un imbarbarimento della società. L’ultimo Festival di Sanremo, per citare l’emblema del costume musicale italiano di massa, penso abbia evidenziato con forza e violenza tutto questo. Una domanda sciocca quanto cinematografica: pensi ci sia un nucleo di persone - come fosse una casta segreta - che determina e decide o, peggio ancora, pensi che sia un modus vivendi e operandi ormai preso in automatico dalle coscienze di tutti?

Sanremo, in tutta franchezza, lo vedo come poco rappresentativo dei tempi che viviamo. Ma tanti altri fenomeni, invece, lo sono eccome. Penso alla Trap, ai talent show, al cosiddetto indie… Tutte cose di cui parliamo nel libro e su cui mi concentrerò ancora maggiormente nel prossimo lavoro, che sto preparando in queste settimane. Non credo tanto ad una casta di persone che manipolano le coscienze, immagino piuttosto una ideologia totalitaria che esprime le volontà di gruppi oligarchici ed opachi. L’ideologia del nostro tempo – quella del neoliberismo, del Capitale Assoluto, chiamiamola come vogliamo – è totalitaria, violenta, onnipervasiva e questo si ripercuote in ogni aspetto dell’esistente. Anche nella musica. Questo però deve darci anche la convinzione che – partendo da un apparente dettaglio – si possono scardinare questi meccanismi di cancrena del pensiero.

Te lo chiedo perché mi piace la definizione che ti dai di agitatore culturale. Come te “tanti” provano a mettere in scena un’altra voce. E qui torniamo a parlare di quello che anticipavo all’inizio: l’indifferenza generale verso la cultura, verso le cose che non si conoscono. Tu che la combatti a tuo modo, che riscontri ottieni? Si trova davvero un terreno fertile? E al di là degli applausi legati alla circostanza dell’evento, che sia una presentazione o un convegno o altro… che frutti si raccolgono nel tempo scontrandosi con tematiche così dure e violente? Perché sono violente… non mi passa di mente questa parola…

In questi anni mi sono preso tante soddisfazioni… ho vinto sfide ritenute impossibili e, sì… Ho generato anche qualche mal di pancia! Ma al di là di questo ho capito che nessuno tra i “nemici” che solitamente vengono denunciati quando si parla di musica è così pericoloso come quello interno. Molto spesso – in buona o malafede – siamo noi coi nostri comportamenti, con le nostre tare caratteriali, con la nostra autoreferenzialità, a rendere la “alternativa” qualcosa di repulsivo o non percorribile. Mi sono battuto per tracciare una strada davvero inclusiva, nella forma e nella sostanza, e continuerò a farlo. Un vantaggio c’è: solitamente chi mugugna si limita a fare questo, senza dare alcun contributo propositivo alla soluzione dei problemi. Alla fine i veri compagni di strada sono quelli che lavorano anche e soprattutto per costruire…

E non a caso, restando sul concetto di violenza, hai sottotitolato questo libro “Musicologia col Martello”. Lo usi per scalfire, per sagomare o per demolire?

Lo usiamo per abbattere, senza dubbio. E il riferimento a Nietzsche è chiaro! Fare tabula rasa di troppi atteggiamenti ipocriti ed incapacitanti, per tornare all’essenza della musica e ridarle il protagonismo che merita. Ridare centralità alla musica significa oggi rimettere l’Uomo al centro del discorso.

E restiamo sulla violenza. Mi piace molto la copertina. Paolo Dorfles in quel bellissimo libro che è “Il ritorno del Dinosauro” cerca un parallelismo molto coerente tra la finta democrazia di oggi e la comunicazione indotta perpetrata dal Nazismo. E questa copertina richiama molto questo concetto…

Estendo il complimento ai grafici della casa editrice… ma devo dire che hai colto abbastanza l’allusione della copertina. Questa successione di figure umane identiche con uno strumento musicale. Dà l’impressione di un indottrinamento coercitivo tipico della dottrina militare…

Domanda davvero di sistema. Tu, Antonello Cresti, un quasi omonimo Renzo Cresti e il filosofo Stefano Sissa. Come si sono incontrate queste tre anime e perché sono finite in questo libro? Ma soprattutto, domanda che ti prego di leggere tra le righe… perché l’avete fatto?

L’abbiamo fatto perché ne sentivo e sentivamo l’esigenza. Un libro – poiché nessuno in questo ambito si arricchisce scrivendo libri – lo si fa o per comunicare una passione (divulgazione) o per esigenza personale. In questo caso si tratta quasi di una “necessità militante”, se mi passi il termine… Personalmente credo molto nella collaborazione tra diversi, ne ho messe in atto decine, centinaia in questi anni e, in generale, sono piuttosto contento di averlo fatto. In questo caso “sentivo” che Renzo e Stefano erano le personalità migliori per accompagnarmi in questo genere di riflessione, ovviamente arricchendola attraverso le loro competenze ed esperienze.

Straordinari gli interventi in prefazione e a post-fazione. Tra tutti adoro la parola e l’uomo che è Pino Bertelli di cui sto leggendo molto ultimamente. Ma qui lasciami buttare un po’ di benzina sul fuoco: perché non portare sotto uno stesso libro, il confronto tra un agitatore culturale come te e chi invece è coscientemente immune da quella che Wilhelm Reich definiva la peste emozionale?

Io, da sempre, per una dinamica che ritengo tanto ovvia da risultare stupida, interloquisco con chiunque, rilascio interviste a chi me lo chieda gentilmente o partecipo ad eventi da parte degli ambienti più vari. Quando so che l’invito giunge da persone dal percorso o sensibilità diverse mi limito a dire scherzosamente che “il problema è il loro”… Questo per dirti che adoro il confronto tra idee anche antitetiche, il problema è che oggi prevale non il confronto, ma la lettera di scomunica, la lista di proscrizione, la maledizione metafisica. Tutte cose che configgono radicalmente col dialogo e alle quali, queste si, non sono interessato. Saremo certo pronti quando e qualora si porrà la possibilità!

Parliamo quindi di editoria. Questo libro esce per NOVAEUROPA ma ecco la mia domanda infuocata: l’editoria mainstream come reagisce a libri di così grande potere agitativo? Trovo che come la rete sia libera di veicolare contenuti sovversivi (tanto ormai sono tutti ammaestrati) così la grande editoria si permette di dar voce solo ai grandi classici… tanto chi li legge?!

Innanzitutto NovaEuropa, così come le altre case editrici con le quali ho lavorato difficilmente potrebbero essere definite mainstream. Anzi, in questo caso leggo talvolta che si tratterebbe di chissà quale congrega di pericolosi facinorosi… L’editoria ufficiale, i media in generale, al giorno d’oggi dispongono della più forte censura esistente, che consiste nel silenziamento di chi propone una lettura delle cose “scomode”. Quando non basta si passa – vedi sopra – alla delegittimazione. Va pur detto che nel vuoto totale di idee in cui ci troviamo basta poco per creare delle “zone libere” di dibattito e in qualche modo lasciare un segno che vada oltre alla mera testimonianza…

E a proposito del tuo essere agitatore culturale, colgo l’occasione per chiederti di raccontarmi la tua realtà quotidiana che non è solo questo libro ma c’è tanto altro attorno. E cito la Convenzione degli Indocili… pescando a caso dal tuo sacco…

La Convenzione degli Indocili altro non è che trasportare la filosofia adottata per Solchi Sperimentali in un ambito extramusicale. Ovvero se con Solchi Sperimentali si voleva passare in rassegna, documentare, promuovere tutte quelle forme di “musica altra” presenti nel nostro paese, in maniera trasversale per stile, provenienza etc., con la Convenzione invece ci si interessa a tutte le forme di pensiero che siano “altre” rispetto alla narrazione ufficiale. Anche qui mettendo assieme itinerari diversi piuttosto che chiudendosi in orticelli identitari e auto consolatori. I due progetti ovviamente non hanno – se non in qualche caso – delle sovrapposizioni; è giusto che le varie attività restino separate, ma va riconosciuto che la filosofia operativa è molto simile.

E chiudiamo, perché se no starei qui per ore. Galimberti ci racconta di questa come l’era della tecnica e del nichilismo. Cioè di totale servilismo ai numeri senza alcun futuro negli occhi. Esiste solo il presente, meccanico, numerico, orizzontale, senza scossoni in cui ogni cosa deve poter essere pre-veduta e pre-decisa a priori. Cosa risponde chi come te vorrebbe altro da questo presente in cui sta costruendo la sua piccola grande rivoluzione per il futuro che sogna?

Risponderei in maniera empirica. Dicendo che questo “unico mondo possibile e pensabile” sta producendo solo insoddisfazione, povertà, imbarbarimento culturale, senza restituire nulla in cambio. Rompere le catene e provare a pensare a qualcosa di diverso – in ogni ambito – forse potrebbe essere un regalo che facciamo alle nostre vite. E questo vale più di qualsiasi posizione teorica…


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