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"In onore di"
Jon Savage
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30/08/2017
Jon Savage
"In onore di"
Jon Savage, londinese e anagraficamente quasi troppo vecchio per il punk (come Caroline Coon): classe 1953; se non fosse che egli ha cominciato a scrivere col punk, attraverso la sua fanzine (anno 1976) intitolata London’s Outrage.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Quando penso alla letteratura musicale, sia essa consistente in articoli oppure in monografie, usualmente per me si tratta di colmare vuoti informativi.

Alla mente mi sovviene Lester Bangs, giornalista statunitense, quale primo nome.

Se si passa agli artisti, spesso sono autobiografie e allora si confida nell’onestà intellettuale degli autori[1] oppure si rimpiange qualcosa: se David Bowie avesse tentato seriamente di descriversi, e perché Paul Weller non lo fa?[2]

Ma torno al giornalismo (può essere giornalismo anche un libro) e arrivo al soggetto di queste righe.

Jon Savage, londinese e anagraficamente quasi troppo vecchio per il punk (come Caroline Coon[3]): classe 1953; se non fosse che egli ha cominciato a scrivere col punk, attraverso la sua fanzine (anno 1976) intitolata London’s Outrage.

Professionalmente si forma l’anno dopo presso Sounds, eterno numero tre fra i tre settimanali musicali britannici[4], dei quali oggi ormai non esiste più traccia (e reggeranno le emeroteche fisiche?).

Egli è (o per lo meno è stato) il proprietario del mappamondo utilizzato come “prop” nell’unico “film punk” mai realizzato, se non fosse che ormai era quasi troppo tardi[5]: Jubilee di Derek Jarman (in quella che è la sua immagine simbolo il mappamondo sta fra le mani di Jordan nei panni di una Britannia corrosa come lo era la società anglosassone del tempo).

L’autorevolezza Savage la conquista[6] con un libro che al tempo poteva considerarsi  quasi impossibile: England’s Dreaming – Sex Pistols and Punk Rock, titolo mutuato appunto da un verso dei Sex Pistols[7], pubblicato dalla autorevolissima editrice Faber and Faber nel 1991 (autunno) e degno di edizione con copertina rigida e sovraccoperta.

Autorevolezza non più persa, checché ne possa dire qualche detrattore.

Ogni tanto riprendo in mano un bel volume che racchiude molti degli articoli pubblicati da Savage fra il 1977 e il 1995[8] intitolato Time Travel[9].

È proprio rileggendo articoli di questo autore compresi in quel “viaggio nel tempo” che ho pensato a come si onorano gli insigni giuristi, preferibilmente ancora in vita, almeno in Italia: con degli “studi in onore di” ovvero libri che raccolgono scritti redatti ad hoc da altri giuristi, su temi riferibili alla insigne figura onorata dai colleghi.

Evidentemente nulla di ciò può accadere nel mondo della musica scritta, ma Jon Savage, che non mi stanco mai di rileggere, ormai andrebbe sfilato dalla saggistica di genere e inserito in un panorama più autorevole, come lo è lui.

E magari sarebbe anche ora di un nuovo volume che parta dal 1996.

[1] Ciò non toglie che io debba ancora leggere quella di Marc Almond.

[2] Weller che aveva aperto una casa editrice, eccetera.

[3] Autrice di un bel libro raccolta di suoi articoli: 1988 - The Punk Rock Explosion. Ma lei non fece mai parte effettivamente della scena

[4] New Musical Express e Melody Maker gli altri due.

[5] Tanto che mancano nella colonna sonora Siouxsie and the Banshees i quali ormai erano già altro e avevano finalmente firmato un contratto fonografico.

[6] Avendo già scritto su The Kinks alcuni anni prima.

[7] “There is no future/In England’s Dreaming” (“God Save The Queen”, 1977: Rotten/Matlock/Cook/Jones).

[8] Mente il sottotitolo: From the Sex Pistols to Nirvana: pop, media and sexuality, 1977-96.

[9] Chatto & Windus, 1996.