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REVIEWSLE RECENSIONI
04/09/2017
Daughter
Music From Before The Storm
In generale però, Music From Before The Storm appare come un’occasione sprecata. L’ascolto integrale provoca impressioni ambivalenti: si rimane catturati da alcuni passaggi, ci si emoziona per alcuni frammenti, ma la mente fatica a rimanere concentrata in modo costante.

Probabilmente ben poche band hanno avuto negli anni recenti la visibilità e la velocità di ascesa dei Daughter. Il gruppo londinese, sin dai suoi primissimi passi, ha saputo assicurarsi l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori, tanto che il loro secondo disco, Not To Disappear, uscito a inizio 2016, era già stato considerato come uno dei più attesi di quell’anno.

Nulla di strano, in realtà: la voce di Elena Tonra, la sua abilità di scrivere testi capaci di mettere a nudo l’anima, le tessiture chitarristiche di Igor Haefeli, un gusto e una cura degli arrangiamenti fuori dal comune, oltre, naturalmente, ad un livello di scrittura altissimo, sono tutti elementi che rendono l’esplosione di questa band un fenomeno perfettamente nella norma.

Niente di strano, quindi, anche nel fatto che sia stato chiesto loro di realizzare la colonna sonora di Life Is Strange: Before The Storm, il secondo episodio (in realtà è il prequel) della celebre avventura grafica della Dontnod Entertainment che è stato uno dei videogiochi di maggior successo degli ultimi anni.

Il legame tra gli sviluppatori e un certo mondo musicale “alternativo” era già presente dall’inizio, visto che nella prima Soundtrack erano stati coinvolti nomi come Mogwai, Amanda Palmer, Alt J, Sparklehorse e Bright Eyes. Naturale quindi la scelta di avere i Daughter per questo nuovo capitolo, anche se stupisce ugualmente che sia stato affidato loro il compito di riempire tutti gli spazi.

E così, a poco più di un lustro dal loro esordio discografico, meno di due anni dopo dall’ultimo disco, il terzetto britannico è chiamato ad una prova per nulla semplice.

Il risultato finale è un disco dalla doppia natura: non si tratta infatti di una colonna sonora in senso stretto, dove molti temi vengono ripetuti o sono presenti in più versioni, oppure dove c'è un tema dominante che viene sostanzialmente riarrangiato in mille modi. Qui le sensazioni trasmesse sono simili, c'è un mood decisamente omogeneo, ma ci sono 13 pezzi autonomi, tutti diversi tra loro e, volendo, ognuno di essi può essere fruito singolarmente senza problemi. Non si tratta quindi di uno di quei lavori che sono belli e funzionali all’interno della narrazione ma che poi perdono irrimediabilmente se ascoltati normalmente su uno stereo. Allo stesso tempo, però, non si tratta neppure di un disco vero e proprio, perché non è una collezione di canzoni compiute. I brani in senso stretto sono tre, gli altri episodi sono tutti strumentali, abbozzi di idee, più che altro, e anche nei due in cui compaiono linee vocali con tanto di testi , esse non sono preponderanti, non occupano un posto centrale. Se volessimo riassumere, potremmo dire che si tratta di un’espansione di ciò che il gruppo aveva già provato agli esordi sul suo primo Ep, in una traccia come “Switzerland”.

Colpisce indubbiamente la ricerca melodica di Haefeli, bravissimo nell’esplorare tutte le possibilità della sua chitarra, abile nel tirare fuori accordi, arpeggi e frammenti sonori sempre diversi, nel tentativo di sottolineare quello che accadrà sullo schermo. In questo senso lo stile che ha reso famoso il gruppo non è stato snaturato, un brano come Burn It Down, uscito come singolo apripista ai primi di agosto, è Daughter a tutti gli effetti, forse solo un po' più ossessiva nel suo feeling generale.

Elena poi è stata bravissima ad immedesimarsi nei personaggi principali: i suoi testi, pur scritti seguendo un copione preesistente e adottando la prospettiva di qualcun altro (cosa che lei praticamente non aveva mai fatto), sono ugualmente ben riusciti e rientrano pienamente all’interno delle tematiche (i rapporti affettivi, con tutto il dolore e la fatica che spesso sottendono, la sofferenza, la depressione) di cui la cantante si è sempre occupata.

È un disco che scorre piuttosto bene, contiene diversi momenti piacevoli e presenta il tipico trademark della band che, senza l’apporto significativo della Tonra, vira leggermente verso suggestioni Post Rock, con un’alternanza tra piani e forti, pieni e vuoti che caratterizza diversi episodi del lotto, tra cui Flaws è una delle più efficaci; ma anche il breve bozzetto per chitarra e tastiera di Witches è indovinato, con un sintetizzatore distorto a fare da tappeto, la ritmica acustica e l'improvviso crescendo a la Explosions in The Sky.

Sono diversi i momenti più carichi e densi di strumenti, un accorgimento a cui la band ci aveva già abituato sul disco precedente (basti ricordare brani come Fossa o Alone/With You, che erano costruiti su ritmi più sostenuti): gli accordi di chitarra elettrica di Right Way Around e il gioco chitarra/batteria nella prima parte di Dream Of William sono due esempi di soluzioni interessanti, che contribuiscono a variare in qualche modo i paesaggi sonori.

In generale però, Music From Before The Storm appare come un’occasione sprecata. L’ascolto integrale provoca impressioni ambivalenti: si rimane catturati da alcuni passaggi, ci si emoziona per alcuni frammenti, ma la mente fatica a rimanere concentrata in modo costante. Si respira un’aria di dispersione, di incompiutezza, come se fossimo davanti ad una serie di idee, bozzetti per un disco futuro che però non verrà mai realizzato.

È solo la conclusiva A Hole In The Earth a restituirci per qualche istante la grandezza dei veri Daughter. A dimostrazione del fatto che quando si concentrano sulla forma canzone, sanno ancora come funzionano i meccanismi dell’emozione.

Rimaniamo in compagnia di tre ottimi brani e di qualche idea suggestiva qual e là. Un po' poco, se consideriamo l’hype che gira intorno al gruppo e l’importanza di questo videogioco.

Ci si potrebbe anche consolare con le parole di Elena e Igor, che in una recente intervista hanno dichiarato qualcosa del tipo: “Questo è un disco dei Daughter ma non nel senso classico del termine. Non si può dire che sia il nostro nuovo album”.

Indubbiamente è così (solo in rari casi le colonne sonore vengono conteggiate tra gli album in studio veri e propri, all’interno della discografia di una band); eppure, non vorremmo che le energie spese in un progetto che, dispiace dirlo, si è rivelato un mezzo passo falso, possano condizionare in qualche modo il futuro di un act che si spera debba ancora scrivere le sue pagine migliori.