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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/09/2017
Morrissey
...e l'apatia dei suoi fan
“Ogni giorno è come la domenica”? Bene, stai sdraiato sul letto e guarda il soffitto, piangi, ascolta la tua musica…
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Me lo dico da solo: meglio tardi che mai.

Ci sono pensieri che circolano nella mente ma faticano a raggiungere una forma definita.

Io non sono stupido (chi passa il tempo a darsi dello stupido, alla fine perde, anche se la sua mente funziona), Morrissey è molto intelligente, eppure per anni noi sembravamo (nella mia mente) due pugili su un ring intellettuale che si studiavano senza trovare il varco nella guardia dell’altro.

Siccome solo io ho coscienza del confronto, dovevo – appunto – scoprire dove entrare con i miei pensieri nella sua opera.

Alla fine il tutto si è risolto nel mio apprezzare le sue sintesi formali e musicali di pensieri certo non unici, pur mantenendo il mio approccio critico (o anche solo diverso) per molte sue scelte che i fan non discutono e semplicemente accettano: io non sono vegetariano (ormai non lo sarò più), però non vedo ragione di biasimare il suo incensare una certa cultura albionica poco gradita ai più[1] perché aristocratica.

Ancora continuava a non quadrarmi qualche cosa.

Come mai?

Perché mi sfuggiva ancora un elemento e per di più quello decisivo?

Questioni di prospettiva, direi.

Leggevo scritti su di lui e interviste a lui, approfondivo anche i suoi gusti musicali, continuavo (come continuo) a inchinarmi ai Ludus e all’arte visiva di Linder Sterling; come mio solito facevo i compiti.

Eppure niente!

Morrissey è un pessimo maestro, i suoi discepoli sono di conseguenza dei pessimi allievi (non apostoli per loro eccesso numerico) rispetto ad altri.

Questo lo capivo, ma perché? Soprattutto: perché ciò mi dà grande fastidio, tanto che per un decennio non ho mai ascoltato volontariamente The Smiths?

Ecco (finalmente. Troppo tardi?) l’illuminazione.

Morrissey non innesca nulla, non induce a nulla.

Morrissey ha come effetto l’antitesi alla reazione alla vita quotidiana.

Morrissey è l’autoindulgenza malata e immobile che conduce al piangersi addosso fine a se stesso. Morrissey ti consente di crogiolarti nell’abbruttimento senza reagire.

“Ogni giorno è come la domenica”? Bene, stai sdraiato sul letto e guarda il soffitto, piangi, ascolta la tua musica…

“Novembre ha partorito un mostro”? Convivi con la tua mostruosità!...

(L’elenco potrebbe proseguire sia con citazioni marchiate Rough Trade sia con altre sotto l’egida Attack, evidentemente).

Forse ciò spiega perché in lui i suoi fan vedono il “salvatore”: deve essere lui a salvarli, appunto.

Direte: ma i concerti? Ah sì i concerti. Vecchie reminiscenze di The Smiths dopo 25 anni, una scintilla che dura qualche istante, altro che “luce che non si spegne mai”.

Poi il fan torna nella sua cameretta e torna alle sue (non) attività di sempre, con bolse letture wildeiane e poco altro: niente Richard Allen, niente Kray Twins, niente James Dean oltre la banale superficie, niente Antoine de Saint-Exupery, niente drammi da lavello, eccetera.

Morrissey è ancora solo, alla fine.

Come 35 anni fa.

Perché i suoi fan si accontentano di come sono.

[1] Per tutto il resto rinvio al mio post precedente su Moz: “Morrissey: why?, oh why?!” di cui questo è una sorta di complemento.