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REVIEWSLE RECENSIONI
20/09/2017
The Cribs
24-7 Rock Star Shit
Il disco è ben suonato e la band ha il giusto mood per attrarre gli amanti dell’indie rock di ogni età, permane, tuttavia, il difetto riscontrato nella maggior parte dei loro lavori, e cioè una monocorde uniformità stilistica, attraversata da pochissimi slanci creativi.
di Antonio Abbruzzese

I Cribs esordirono a inizio millennio, venendo giustamente associati ad altre band inglesi di quel periodo, come Futurheads e Franz Ferdinand, che, con alterne fortune e capacità, cercarono di aggiornare la lezione dei Gang of Four e dei Josef K. La band, proveniente da Wakefield e formata dai tre fratelli Jarman (Ryan, Gary e Ross - rispettivamente chitarra voce, basso voce e batteria), cominciò a farsi conoscere con la pubblicazione di due dischi di onesto indie rock, distribuiti dalla Wichita Records: The Cribs (2004) e The New Fellas (2005). Il successo arrivò, però, solo con Men’s Needs Women’s Needs Whatever (2007), grazie anche al fortunatissimo singolo Men’s Needs, che garantì loro la presenza fissa in tutti i festival più importanti. Sull’onda della notorietà ottenuta, si unì alla band anche l’ex Smiths Johnny Marr, che rimarrà con loro per un paio di stagioni, collaborando alla stesura dei brani di Ignore The Ignorant del 2009. Terminata questa prima fase, i Cribs daranno alle stampe solo altri due dischi, che poco contribuiranno alla loro crescita artistica. Ora, a due anni di distanza da For All My Sisters, ci riprovano con 24-7 Rock Star Shit, dieci brani composti tra il 2012, all'epoca del tour promozionale di In The Belly Of The Brazen Bull, e il 2017. L’album, registrato quasi in presa diretta, si avvale della produzione del leggendario Steve Albini, che ce la mette tutta per regalare compattezza al sound del terzetto inglese. L’operazione, però, riesce solo in parte. Se, infatti, il disco è ben suonato e la band ha il giusto mood per attrarre gli amanti dell’indie rock di ogni età, permane, tuttavia, il difetto riscontrato nella maggior parte dei loro lavori, e cioè una monocorde uniformità stilistica, attraversata da pochissimi slanci creativi. Calma piatta, quindi, niente che risalti in modo indelebile, nessun brano che trascini o perlomeno rimanga in mente, così che, quasi tutto il materiale in scaletta, sembra già sentito migliaia di altre volte. Insomma, i Cribs non riescono proprio ad accendere quella scintilla che possa elevare il disco e farlo emergere rispetto alle altre decine dello stesso genere che escono settimanalmente. Nel grigiore generale, meritano una menzione Give Good Time e What Have You Done For Me, due canzoni discrete, ma non indimenticabili. Troppo poco per un lavoro che neanche Steve Albini riesce a innalzare dalla sostanziale mediocrità.