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REVIEWSLE RECENSIONI
17/11/2017
Beck
Colors
Con Colors, Beck ci regala l’ennesimo ottimo album di un carriera lunga quasi venticinque anni. E se anche alle volte, ascoltandolo, si ha la sensazione di essere presenti a una festa nella quale gli invitati si divertono un po’ meno di chi l’ha organizzata, be’, alla fine, chi se ne importa?

Fino a una decina di anni fa, ogni album di Beck era atteso con trepidazione, dato che ogni volta non si sapeva mai cosa ci si sarebbe potuti aspettare da uno capace di reinventarsi sempre con estrema disinvoltura. Il lo-fi di Mellow Gold, l’alternative di Odelay, il folk di Mutations, il funk e l’r&b di Midnite Vultures, il pop barocco di Sea Change: tutti generi esplorati, spesso e volentieri in controtendenza con lo spirito dei tempi. Poi, con Guero, Beck fa ritorno a casa, lavorando nuovamente con i Dust Brothers dieci anni dopo il successo di Odelay. Ed ecco che il suo percorso di ricerca, fin lì inarrestabile, si interrompe, con il risultato che due ottimi album come The Information e Modern Guilt escono con gran parte del pubblico e della stampa specializzata che guardano ormai da un’altra parte. E la dice lunga il fatto che gli otto anni che hanno separato Modern Guilt da Morning Phase a molti non è sembrato un lasso di tempo neanche troppo esagerato.

Non che a Beck tutto questo sia dispiaciuto. Morning Phase ha ricevuto un’ottima accoglienza – tre Grammy nel 2015, tra cui quello di “Album dell’anno” – e il periodo lontano dai riflettori gli ha permesso di sviluppare le sue abilità di produttore (Charlotte Gainsbourg, Thurston Moore, Stephen Malkmus), autore (Song Reader) e performer (Record Club). Evidentemente, però, a Beck deve essere mancato l’odore della polvere da sparo e la tentazione di tornare in prima linea a sporcarsi le mani con quello che gira in classifica deve essere stata troppo forte. Ecco, la parola d’ordine di Colors sembra proprio “sporcarsi le mani” e Beck lo fa come un bambino iperattivo che ha a disposizione un intero armamentario di giocattoli da utilizzare come meglio crede. Coadiuvato da Greg Kurstin – noto ai più per essere il produttore di riferimento di Adele –, Beck ci regala dieci canzoni tirate a lucido di puro pop, magistrali nella scrittura e nella loro esecuzione. E anche se tutti i suoi album in qualche modo sono pop per definizione, Beck non ha mai esplorato esplicitamente questo tipo di sonorità. Infatti, la volta che ci è andato più vicino, con The Information e Modern Guilt, quello che spiccava di più, in realtà, non era il senso di divertimento che un buon pop album dovrebbe sprigionare, bensì una ben poco confortevole sfumatura di paranoia.

Alla fine dei conti, quello che Colors dimostra è che Beck non è più un giovane scavezzacollo, ma un fine professionista, conscio del suo talento di autore e capace di scrivere canzoni studiate in ogni minimo dettaglio, dove nulla negli arrangiamenti è lasciato al caso. E anche se i generi toccati sono svariati – la psichedelia di “Colors”, il rock di “I’m So Free”, il maccartneismo spinto di “Dear Life”, il funky di “Dreams”, il beat di “Up All Night” e la trap di “Wow” – tutte sono inequivocabilmente figlie della sua vena compositiva.

Se proprio si vuole trovare un difetto all’album, bisogna ammettere che la voglia di leggerezza e spensieratezza che Colors vuole trasmettere all’ascoltatore alle volte appare un po’ troppo forzata e i pezzi sono un frenati da una certa densità. Ogni canzone, infatti, è stipata di suoni e idee fino all’eccesso, come se per la premiata ditta Beck & Kurstin fosse sempre necessario riempire ogni minimo spazio sonoro e in quattro minuti fosse obbligatorio inserire tutto ciò che ci si riesce a inserire. Evidentemente, la lunga gestazione che l’album ha subito deve aver inciso sul risultato finale, dato che i lavori per Colors sono iniziati nel 2013 – ben prima di Morning Phase – e il primo singolo, “Dreams”, è della primavera del 2015.

Detto questo, missione comunque compiuta per Beck, il quale ci regala l’ennesimo ottimo album di una carriera lunga quasi venticinque anni e che finora non conta praticamente nessun passo falso. E se anche, alle volte, ascoltando Colors, si ha la sensazione di essere presenti a una festa nella quale gli invitati si divertono un po’ meno di chi l’ha organizzata, be’, alla fine, chi se ne importa?