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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/12/2017
In Italia il rock non c'è
Troviamo Il Coraggio Per Dirlo:
Dietro questo proliferare indie ci sono diversi aspetti. Il primo è figlio dell'italica propensione allo "smarcarsi", ad essere ognuno diverso o alternativo rispetto a qualcos'altro (guardate cosa accade nella sinistra italiana...). Insomma, è la solita pedanteria radical chic, per la quale bisogna essere controcorrente ma col vestito alla moda, scapigliato ma col taglio da trecento euro, alternativo con i soldi di papà.
di Alessandro Raggi

Quando iniziavo a muovere i primi passi nel mondo della musica, a metà degli anni novanta, la scena del rock italiano stava vivendo un momento florido. Ricordo, da liceale, la botta di adrenalina che mi provocò (e non solo a me) "Cambio" dei Negrita. Finalmente, mi dicevo, una band italiana che non aveva paura di proporre riff rock/blues, melodia sopra le chitarre ed assoli figli della tradizione del classic rock. Ovviamente in quel periodo c'era un movimento intero che alzava la voce, tra i quali ricordo i Ritmo Tribale, Timoria, i Marlene Kuntz (ma che disco epocale è stato Il Vile?), Massimo Volume, Bluvertigo, Afterhours. Addirittura, e non mi vergogno assolutamente di scriverlo, ascoltavamo Grignani che ci aveva spiazzato pubblicando "La fabbrica di plastica", un disco dichiaratamente controtendenza e chiaramente influenzato dai Nirvana nella sua forma ed anche nella sua estetica. Finalmente insomma avevamo una scena ed in nuce ricordo anche piccole band che promettevano benissimo, come i fiorentini Interno 17 oppure i veneti Unarazza, questi ultimi un incrocio inatteso tra l'epica U2, riffoni alla Zeppelin e testi alla De Gregori, durati lo spazio di un disco che ancora oggi ascolto con meraviglia.

 

Figlio di questa generazione, nei primi anni Duemila fondai una band, gli Slash Diesel (nome fuori di testa, lo riconosco) con l'intento dichiarato di uscire fuori dalla sala prove e "provarci". Pensavamo che quella formula che tanto amavamo e che proponeva in Italia il rock della tradizione potesse riservare anche noi un piccolo spazio. Dopo un poco di gavetta ci ritrovammo a Bologna, quasi tutti ventiquattrenni, a suonare per la semifinale italiana di Emergenza Rock. Una grande soddisfazione, ma quell'esperienza si concluse lì. Respirammo per la prima volta, in quel giorno di marzo di 14 anni fa, il vento dell'indie che spazzava via le nostre chitarre e la nostra classicità. Non arrivammo in finale, ma forse l'impressione più evidente fu che le altre band ci guardavano come dinosauri: eravamo fuori dal tempo, non eravamo alternativi.

 

La vicenda non mi dispiaceva del tutto, in fin dei conti anche noi eravamo cresciuti con i poster dei Nirvana e dei Pearl Jam in camera. Solo che l'alternative delle altre band non partiva da quella forma canzone, era un nuovo modello, aveva un nuovo stile. Quella tendenza mi sembra che non sia più cambiata, ed a mio avviso ha creato danni enormi. In primis, la mancanza di una scena di rock più tradizionale il Italia che possa dirsi concorrenziale rispetto agli altri paesi. Perché una scena alternative esiste solamente se c'è una scena più tradizionale, mi sembra evidente, anche perché la domanda (come direbbe il grande Lubrano) sorge spontanea: alternativi si, ma a cosa?

 

Dietro questo proliferare indie ci sono diversi aspetti. Il primo è figlio dell'italica propensione allo "smarcarsi", ad essere ognuno diverso o alternativo rispetto a qualcos'altro (guardate cosa accade nella sinistra italiana...). Insomma, è la solita pedanteria radical chic, per la quale bisogna essere controcorrente ma col vestito alla moda, scapigliato ma col taglio da trecento euro, alternativo con i soldi di papà.

 

Non ho alcun timore poi a dire che dietro l'indie si celano soggetti che in realtà non hanno grandi doti musicali o tecniche. Molte volte mi è capitato di assistere a concerti di qualche "next big thing" italiana e percepire senza alcuna ombra di dubbio che nemmeno le chitarre erano accordate (e vi assicuro che non erano nemmeno lontani parenti della sonicità dei Sonic Youth). Il rock del Bel Paese è di nicchia, si vanta di non vendersi alle classifica ma in realtà è la vecchia storia della volpe e dell'uva. Ed a mancare, caso veramente strano, sono soprattutto le band, perché invece nel caso di artisti singoli qualche buona proposta c'è: Brunori sas o Bugo, tanto per dirne due, stuzzicano il cervello con testi mai banali e l'ultimo Fabi è un artista maturo e completo. A ben vedere restano Il Teatro degli orrori, carichi e pesanti, eccellenti musicisti, focalizzati e ben avviati verso una proposta che si colloca senza problemi nel mercato internazionale.

 

La centralità dei talent sta "drogando" il sistema. Vi invito a ricordare il nome di una rock band uscita da un talent italiano...esatto, nessuna risposta. Mentre qualche artista solista dura lo spazio di un singolo o di un anno (fatte salve le eccezioni uscite dai primissimi anni di Amici e X Factor), delle band non c'è ricordo alcuno. E qui la parola mancante è "investimento". In fin dei conti, perchè una grande casa discografica dovrebbe fare un investimento di tempo e denaro la cui monetizzazione non è certa, quando può mettere sotto contratto per un disco (e dico uno) un ragazzo uscito da Amici, strizzarlo sino all'ultima goccia e poi lasciarlo al suo anonimato? La prima ipotesi prevede una marea di controindicazioni: soldi a fondo perduto investiti all'inizio, necessità di sviluppare anche mediaticamente l'artista sotto contratto, aspettare due o tre dischi. E se poi l'artista ha successo? Il contratto diventerà sempre più oneroso e poi c'è il rischio che l'artista faccia...l'artista! E quindi non risponda più come uno schiavo alle richieste del music business. 

 

Servirebbe come il band che domani mattina una bella band con le canzoni in mano e la tecnica per suonarle al meglio venisse messa sotto contratto da qualche testa lungimirante. Servirebbe al sistema, servirebbe ai tanti ragazzi che si sfasciano in sala prove ma sono sviliti, depressi. Servirebbe, addirittura, al mondo dei negozi di strumenti musicali che, se non ve ne siete accorti, stanno morendo per asfissia, come già accaduto qualche anno fa per i negozi di dischi. Bisogna dare una svolta, ricominciare a rischiare. 

 

Chiudo come avevo aperto, riprendendo dalla mia storia personale con gli Slash Diesel. Dopo la delusione di Emergenza Rock avevamo comunque abbastanza canzoni per registrare un disco. Però non volevamo chiuderci in studio ed autoprodurci di tasca nostra: sapevamo già che quella strada non portava a nulla. Dunque riuscimmo a prendere un appuntamento con un produttore importante di una band storica del rock italiano, non pensate alle vendite da classifica ma ad un nome di richiamo nel nostro settore (si dice il peccato ovviamente, il peccatore non interessa a nessuno). Ci presentammo con un'audiocassetta con tutti brani registrati in presa diretta, convinti che ciò potesse dimostrare la nostra maestria musicale. Il produttore ascoltò due canzoni. Tra le due c'era "Sixties" un brano che avevo scritto qualche anno prima che aveva un andamento sinuoso e si concludeva un po' alla "Hey Jude" (Dio mi salvi da qualsiasi accostamento). Quella canzone aveva un ritornello orecchiabile ed era costruita con arrangiamenti particolari. Probabilmente a lui piacque, ma disse "In questa canzone ci sono almeno altre tre canzoni". Io obiettai che era tutto voluto. Lui, al contrattacco. "Sono tre belle idee, quindi tre canzoni. Una idea, una canzone. Non bisogna sottoporre l'ascoltatore a troppi sforzi".

Noi: "Però le facciamo notare gli arrangiamenti che esaltano i passaggi, la batteria, la costruzione, la tecnica...". Lui: "Tutto vero ragazzi, ma a chi interessa? Portatemi queste tre canzoni, anche se siete cinque ragazzini che non sanno suonare vi aggiusto tutto in sala di registrazione e se proprio non sapete suonare tre note chiamo i turnisti, che non compariranno da nessuna parte". E poi la proposta:"Lavorare con me costa...(e giù una cifra bella interessante). Questo pacchetto include anche la pubblicizzazione del disco e qualche passaggio radio. Ovviamente voglio una percentuale sulle eventuali vendite e vi garantisco un disco solo, poi si vedrà". 

 

Lo salutammo ed uscimmo a prendere aria. Era un bel pomeriggio di Ottobre, soleggiato (non vi svelo nemmeno la città). Tutti quei soldi non li avevamo. Gli Slash Diesel si sciolsero.