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REVIEWSLE RECENSIONI
18/03/2018
Meshell Ndegeocello
Ventriloquism
In “Ventriloquism” Meshell Ndegeocello dà voce a un momento di transizione dell’R&B - quello a cavallo tra gli anni ottanta e novanta - restituendo conformità a undici cover di brani eterogenei, il tutto grazie al suo timbro straordinario.

Mentre noi, di qua dall’oceano, eravamo tutti presi con gli ultimi scampoli del synth pop e della new wave, c’era gente che coltivava la propria personalità artistica con la black music in un periodo, quello tra la seconda metà degli anni 80 e la prima degli anni 90, in cui un genere dalle temperature emotive roventi come l’R&B doveva fare i conti con le sonorità fredde come il ghiaccio (e plasticose come mai nella storia) imposte dall’industria musicale dell’epoca. Sintetizzatori e drum machine stavano mandando in pensione le affollate band e le sezioni fiati del decennio precedente, rivoluzionando una tradizione consolidata.

Meshell Ndegeocello, adolescente ai tempi, ha voluto render giustizia al paradosso degli anni più neri - nel senso di cupi - del Rhythm and blues, stravolgendo una manciata di canzoni più o meno conosciute di quel momento di transizione, levigandole di fino secondo un gusto unico (possibile solo a valle di quanto successo, nel frattempo, alla musica black) e re-inventandole in un album di cover che, facendo finta di ignorarne la gestazione, potrebbe anche sembrare un disco nuovo, formato da hit composte per l’occasione.

D’altronde l’R&B è una questione di vibrazioni. Meshell Ndegeocello sostiene di non provare nessun (o poco) sentimento per come si è evoluto ed è stato rimasticato in questo momento storico che, forse, ha sancito l’apice della popolarità, creatività e sperimentazione per un genere che ha sempre saputo evolversi. Da qui nasce il motivo dietro la necessità di riportare alla luce la colonna sonora della sua formazione musicale tra i numerosi singoli di quello che sarebbe diventato il genere “urban”, canzonette coloratissime, a volte romantiche e a volte spensierate, sparate a tutto volume dalla tele sintonizzata su MTV.

La tracklist di “Ventriloquism” si compone di brani resuscitati da un periodo che va dall’84 al 95, alcuni popolarissimi come “Private Dancer” di Tina Turner, “Atomic Dog” di George Clinton, la delicatissima "Sometimes it snows in april" di Prince, il successone "Waterfalls" delle TLC, qui suonata solo con piano, chitarra e batteria minimale, fino ad arrivare a una versione destrutturata della celebre “Smooth Operator” di Sade. Altri un po’ meno (almeno per chi, come me, si dedicava a tutt’altra roba) ma, alla luce del lavoro portato a termine con “Ventriloquism”, la curiosità di ascoltare gli originali di "I Wonder If I Take You Home" di Lisa Lisa & Cult Jam, “Don't Disturb This Groove” dei The System o “Sensitivity” di Ralph Tresvant indubbiamente si manifesta tutta.

E il merito di Meshell Ndegeocello, in “Ventriloquism”, è proprio quello di aver rimesso a nuovo un’intera generazione di composizioni secondarie. Paradossalmente, è molto più semplice rifare Prince appellandosi anche allo slancio globale di affetto per un grande protagonista scomparso da poco piuttosto che restituire dignità ad artisti come Al B Sure! o The Force M.D.'s. La cantante statunitense si dimostra così non solo un’attenta interprete ma una sorta di co-autrice da remoto (secondo un’accezione temporale), in grado di estrarre il meglio dall’anima di pezzi molto distanti dalla nostra sensibilità e conferendogli nuovo valore grazie a una rilettura originale.