Appena il tempo di veder pubblicato “Heaven and Earth”, ultima fatica (si può ben dire, oltre due ore di musica) del sassofonista Kamasi Washington, che subito si sono scatenati sui social i cacatori di cazzo in servizio permanente effettivo. Costoro dai loro alti scranni di non si sa quale università della tuttologia si sono affrettati a dichiarare nell’ordine che:
A: Kamasi è un furbacchione
B: Kamasi non fa Jazz
C: Kamasi è un bignami
Poi sentendosi come l’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, davanti a Mozart durante le prove de “Le Nozze Di Figaro” hanno solennemente dichiarato: “troppe note”.
Passato il primo momento di rabbia e dopo aver deciso di mettere al sicuro là dove non batte il sole le dichiarazioni dei nostri cari CdC (che non è l’acronimo di Coppa dei Campioni) ho deciso che sarebbe stato meglio per me andare in un record shop ed acquistare una copia fisica del cd.
Prima sorpresa: i dischi sono tre, non due come credevo, il terzo cd è incastonato e sigillato al centro del digipack, e solo grazie ad una ricerca tattile e con delle acrobatiche manovre fatte con un temperino sono riuscito ad estrarlo. La seconda sorpresa è che la musica contenuta nel cd bonus farà contenti tutti quelli che dicono che Kamasi non fa Jazz. Eh sì, qui c’è del jazz nel solco della tradizione, oltre ad una fantasmagorica versione di “Will You Love Me Tomorrow” e la cover di “Ooh Child”, classicone in origine cantato dai Five Stairteps, ma è come se fosse un esercizio di stile dedicato ai miscredenti; il vero Kamasi è quello che ascoltiamo in “Heaven” e in “Earth”, e non gliene può fregare di meno di quello che piace a voi o di come vorreste che fosse. Lui va avanti, tira dritto per la sua strada e se c’è ancora qualcuno che non riesce ad entrare dentro al suo universo, beh, cavoli suoi.
Il mondo di Kamasi Washington è oltre le mode del momento, è tutto quello che avete ascoltato in settant’anni di musica black: Jazz, Funk, Soul, Jazz spirituale e cosmico, Afro, Blues e tutto quello che vi viene in mente.
Kamasi è tutto questo e va oltre, riportando il jazz ad essere cosa popolare, di ascolto immediato anche se tu non ne hai mai bazzicato i sentieri, non è sterile avanguardia né minimalismo da intellettualini anemici. Non è un rivoluzionario e non vuole esserlo, Kamasi ti riporta a casa tutto quello che hai smarrito in anni di fuffa musicale.
Kamasi non è un divulgatore, usciamo da questo equivoco, non fa proselitismo per chi vuole avvicinarsi al jazz, quelli saranno cazzi di chi lo ascolta, è un discorso che non regge, l’unico proselitismo possibile è nei confronti della musica black, ma in TOTO, come è giusto che sia.
Un barbecue, la musica di Kamasi è un barbecue Weber con la griglia del diametro di sessanta centimetri; capite bene che in siffatta superficie non puoi metterci su due fettine di melanzane a grigliare e mezza salsiccia segalitica, no, la devi riempire con ogni ben di Dio, ne devi far colare il grasso, la devi insaporire con il rub, ne gusti con voluttà le costine di maiale.
Ecco, “Heaven and Earth” è così, un flusso ininterrotto di bellezza al limite della commozione.
Due ore di musica che diventano tre e mezzo con “The Choice” e che vi faranno passare la voglia di ascoltare altro, talmente abbisognano di essere ascoltate e vissute; e con lui è presente l’orchestra, l’immancabile coro e la sua band, The Next Step, con una strepitosa sezione ritmica: Miles Mosley al basso (a proposito, se ancora non avete ascoltato il suo ultimo album, fatelo ora) che spadroneggia a destra e a manca coadiuvato dai batteristi Tony Austin, Ronald Bruner Jr.
“Earth” parte con “Fists of Fury”, remake della colonna sonora del film con protagonista Bruce Lee che ci travolgerà non con un colpo di Kung Fu ma da un profluvio di note e voci, a farci intendere come sarà il cammino una volta entrati dentro il mood dell’opera. Ma è solo l’antipasto di un’opera dove Kamasi intelligentemente non prevarica sui suoi compagni di ventura, lasciando ad ognuno di loro la possibilità di esprimersi compiutamente, allungando così a dismisura i vari pezzi (si viaggia intorno a dieci minuto l’uno) ed è un bene, in un’epoca “fast food” anche per andare a pisciare, la magniloquenza di “Heaven and Earth” fa bene allo spirito.
Prendi la travolgente “Can You Hear Me” o la latineggiante “Hub-Tones”, cover del famoso pezzo di Freddie Hubbard, furiose e sabbatiche, strati su strati di fiati, percussioni e groove.
Si viaggia a mille all’ora, senza tregua, come una corsa all’impazzata in discesa e senza freni. “Connections” rallenta il circolo, ti concede una tregua e ti manda in estasi con quell’apertura vocale come se arrivasse dalle profondità dello spazio. Ancora suoni meditativi spirituali con la stupenda “Tiffankonkae”, come dire dal caos alla melodia lasciva, che ti lascia sorpreso al minuto 3:24 (ecco il riccardone che è in me) con l’entrata del piano e il brano che vira in una digressione à la Pat Metheny Group periodo “First Circle”, per poi al minuto 4:50 ritornare in riga con il sax di Kamasi. “The Invincible Youth” parte con un minuto di jazz in salsa free per poi virare in un pezzo jazz dai risvolti tradizionali.
Approdiamo poi ad una delle vette di “Earth”, “Testify” con alla voce solista la fantastica Patrice Quinn, un capolavoro di intensità e melodia, bello come le possono essere le donne in dolce attesa.
Il finale del primo cd è affidato a “One of One”, l’ordine che si affranca dal caos, in un afflato spirituale.
Non bastassero queste meraviglie è con “Heaven” che il lavoro di Kamasi mette davvero le ali e diviene un tutt’uno con il cielo.
Sin dall’apertura affidata a “The Space Traveller Lullaby”, dove si dipana una melodia al limite della commozione, che va avanti in un crescendo fino a toccare corde emozionali fin qui soltanto evocate, proseguendo con la latineggiante “Vi Lua Vi Sol”, un altro dei picchi di “Heaven”, un capolavoro di ritmo, di ariosità vocale e di sax che porta con sé il respiro dell’universo.
Il funk retrospettivo da blaxploitation è la cifra della epica “Street Fighter Mas” mentre le successive “Song For The Fallen” e “Journey” attingono, se ancora non vi foste bastato, alle vostre corde più intime, melodia ed emozione prima dell’esplosione soul funk di “The Psalmnist”, altro momento topico di “Heaven”, e viatico per i due brani posti a epilogo dell’album. “Show Us The Way” e “Will You Sing” sono i canti che fanno sì che tutto sia compiuto, la fine di un viaggio nel vero senso della parola, un pellegrinaggio cosmico che se non avrete paura di compiere vi renderà partecipi della più incredibile esperienza musicale e sensoriale che abbiate mai potuto avere.
In conclusione, mi preme ribadire quello che è stato l’assunto iniziale di questa mia recensione: Kamasi Washington non è Jazz, non vuole esserlo, va ben oltre e i suoi lavori lasceranno il segno e saranno ricordati negli anni a venire.