Pochi giorni fa, come spesso accade, sono andata ad un concerto hardcore. Le persone presenti erano incredibili e il senso di appartenenza che si respirava era palpabile, come succede solo nei migliori eventi. Le band erano di livello, ma alla fine eravamo in quattro gatti. E il pensiero è andato alla scena della città e a cosa voglia dire, alla fine, supportare la propria scena e far parte oggi di quella comunità.
Supportare la scena è un concetto che dovrebbe essere passato in allegato obbligatorio al primo disco di musica seria che decidiamo di ascoltare. Perché la scena hardcore in particolare, ma anche la scena punk e quella metal, non sono solo delle invenzioni teoriche o dei contenitori astratti creati per contenere chiunque ascolti un certo tipo di musica, ma sono una cosa seria. Un concetto concreto. Una comunità reale.
La scena è popolata da tutte quelle persone che suonano, che si fanno in quattro, sudano e sanguinano per mettere in piedi una band, provare e fare concerti, tentare di fare dischi e offrire il frutto del proprio lavoro a chi desidera ascoltarle. È popolata da chi si impegna a ospitare concerti ed eventi, a promuoverli e a farli crescere. Ed è nutrita da chiunque viva un profondo, empatico e vitale legame con quella musica. Da chi la ascolta non solo perché gli piace, ma perché ne ha bisogno. Da chi la compra e da chi va ai concerti. Da chi è curioso di scoprirla e riscoprirla ogni giorno che passa. Da chi la vive perché sa che non è solo una colonna sonora, ma è qualcosa che parla di una parte di sé. E da chi sa che la fuori c’è qualcuno che prova le sue stesse emozioni - belle e brutte - e le butta fuori alla stessa maniera, e per questo entra a far parte di quella famiglia allargata, internazionale e intergenerazionale che è la comunità della propria scena di riferimento.
Attenzione, non parliamo di chiunque ascolti un certo tipo di musica solo perché “fa figo”, “la ascolta il mio amico”, “passava alla radio e ho pensato fosse bella”, “fa parte di una delle mie playlist di spotify”, “ah sì ho una maglietta di quelli”, etc., perché questa è una categoria di ascoltatori superficiali, di passeggiatori distratti e di anime disattente, che probabilmente hanno avuto vissuti differenti e affrontato difficoltà, se mai incontrate, con mezzi e sistemi molto diversi. Ovvero non con la musica, e in questo caso particolare sicuramente non con l’hardcore o con il punk. E la differenza, credetemi, si riconosce dopo pochi minuti di confronto diretto.
La scena esiste da quando c’è quel certo tipo di musica in un certo paese o in una certa città e iniziano ad esserci persone che la ascoltano, ne parlano, si confrontano, la vivono, decidono di creare delle band di quel genere, fanno concerti e li vanno a sentire. E non si tratta di folle di migliaia di persone, anzi, dopo un po’ è popolata dalle stesse facce, che vengono sostituite e integrate lentamente nel corso del tempo.
Esiste da anni, ha luoghi e modi differenti per manifestarsi a seconda delle epoche, viene governata da sottili e tacite leggi e prospera sulla base dell’impegno, della volontà e del sentire di chi la vive.
La prima (e forse unica) regola per supportare la scena è molto semplice: muovere il culo e viverla. Il che vuol dire non solo essere ascoltatori passivi dei grandi gruppi del presente e del passato, ma ascoltare e scoprire le band del territorio in cui la propria scena prospera, prendere coraggio, mettere a tacere ogni pigrizia e andare ai concerti, comprare dischi (cd, vinili o cassette che siano), comprare merchandise e attaccare adesivi in giro.
Nell’hardcore e in diverse tipologie di punk, inoltre, quello che dovrebbe unire è il senso di comunità, l’essere consapevoli che quelli attorno a te, mentre ascolti un concerto o suoni assieme ad altre band, sono dei compagni d’armi. Sono quelli che abbracci nei sing along, quelli con cui poghi, quelli che aiuti a far rialzare se cadono in un circle pit e quelli per cui ti batti se vedi che la situazione si mette male. Anche se non li conosci ancora.
E lo stesso vale se si è una band. Perché nell’hardcore non c’è un sopra o sotto il palco. E perché c’è, o ci dovrebbe essere, l’umiltà di riconoscere sempre il valore di chi ha suonato prima o dopo, oltre che di fermarti ad ascoltarlo, di incontrare chi ti supporta e di indossare la maglietta di chi stimi, famoso o meno che sia. Perché in famiglia si fa così: ci si supporta sempre a vicenda, soprattutto e ancora più fortemente se nessun altro, fuori di lì, lo fa.
In aggiunta, ma non per questo in secondo piano, quello che dovrebbe unire i kids (perché sì, si è kids anche se avete 50 anni) è la voglia di combattere. Che sia per un’ideale o per un valore, che sia contro qualcosa che non funziona, contro qualcuno o contro il dolore che ti lacera da dentro, si combatte perché con la musica si sente di poterlo gestire e affrontare.
Perché nell’hardcore si può essere depressi, pieni di ansia, paure, dolore e rabbia, ma grazie alla musica si impara a trovare sempre il modo di rialzarsi, di leccarsi le ferite, contare le cicatrici e affrontare il mondo a testa alza e pugni alzati, ritrovando sempre - per quanto possibile - un sorriso, una parola di comprensione, una speranza per andare avanti e un motivo per lottare. Anche e soprattutto alla faccia di qualunque tipo di società e problemi esistano al di fuori.
Poi per carità, è utile anche quando si è carichi e positivi, perché si amplificano le energie a disposizione, ma se ci si avvicina a certa musica, non lo si fa certo perché nel proprio cuore vivono solo allegre danzatrici di samba o perché si amano tanto i gattini. La densità, l’empatia e la convinzione che emergono in scene come quella hardcore hanno radici ben più oscure e profonde, e nascono proprio dalla trasformazione del peggiore disagio in una reazione, in qualcosa di proattivo e combattivo. A volte dissacrante, a volte politicamente impegnato, a volte machista, a volte intenso, a volte ironico, a volte oscuro, ma ogni volta rigenerante.
Quindi la prossima volta che ascoltate questa musica, se pensate veramente di farne parte e di viverne ogni giorno almeno un frammento, ma di quelli che portate incastonati nell’anima, allora muovete il culo, supportatela e combattete. Andate ai concerti che trovate, anche quelli più piccoli, stringete mani, fate amicizia, comprate dischi e magliette e vivete ogni live con il cuore e il sudore. Respirate l’aria di casa della vostra piccola comunità e contribuite a tenerla in vita e a renderla migliore. Perché se l’hardcore ha salvato voi, supportando la vostra scena aiuterete altri ad essere salvati, o per lo meno li aiuterete a trovare una nuova risposta possibile o una piccola famiglia in cui essere se stessi.
Note al video.
In coda un piccolo esempio pratico. Ce ne potrebbero essere diversi ma ho scelto questo.
Loro sono i Never Ending Struggle (N.E.S.), sono di Milano e sono nati da pochi mesi. Ci credono un sacco, si spaccano la schiena in sala prove e nella vita (sì, anche se sono molto giovani), trovando nell’hardcore una risposta. Si fanno in quattro per la scena e supportano sempre le band con cui hanno l’onore di suonare: dal pogare o fare slam dance sotto palco, al fare i complimenti o chiedere consigli a chi reputano migliore, allo scambiarsi gli adesivi che ci si è stampati.
Ci siamo incontrati in una magica serata al Circolo Svolta, in una surreale versione di Hardcore Festival da periferia per pochi intimi, e sono riusciti a sintetizzare, con la loro attitudine, tutto quello che, nel mio piccolo, ho inteso nei paragrafi precedenti.
Certo, devono ancora crescere, registrare ad un buon livello o migliorare tutti gli aspetti che riterrete di voler criticare, e sarebbe molto più facile allegare un video o una canzone perfetta, di qualcuno di già più conosciuto e riconosciuto, ma allora dove finirebbero tutte le belle parole del supportare la propria scena? Ricordatevi che tutti nasciamo dal piccolo, il migliore hardcore nasce dal basso e la vera scena non è fatta solo dal pubblico che troviamo ad applaudire le band più importanti, ma da tutti coloro che cercano di contribuire ad alimentarla nel migliore dei modi, mettendoci faccia, energie e sudore. E se la mia comunità è fatta di persone e band come questa, io non posso che essere fiera di farne parte.