Sono passati nove anni da Tamer Animals, secondo album in studio della band originaria dell’Oklahoma, e la sensazione è che gli Other Lives, da quel folk rock orchestrale, attraversato da echi morriconiani e sedotto da derive malinconiche, non abbiano fatto molta strada, perdendosi nel sottobosco indie di quei gruppi di cui ci si ricorda solo al momento dell’uscita di un nuovo disco.
Non che non abbiano provato, per carità. Il successivo Rituals (2015) tentava di arricchire (destrutturandola) la precedente narrazione, aprendosi a uno sperimentalismo dilatato, in cui la formula canzone, con le sue regole e il suo minutaggio, veniva abbandonata nel tentativo coraggioso di allargare gli spazi e rarefare l’impianto sonoro. Un disco difficile e per niente accomodante, poco apprezzato dal pubblico e dalla critica, che aveva finito per interrompere l’ascesa di una band, sul cui futuro, più o meno tutti, dopo la sorpresa di Tamer Animals, avrebbero scommesso a occhi chiusi.
Questo For Their Love è un’inversione di rotta, un ritorno alle origini, una resipiscenza stilistica che riporta la band alle atmosfere dei giorni più fortunati, in cui è di nuovo la canzone a prendersi la scena all’interno di una scaletta abbondantemente ridimensionata nella durata (dieci brani per trentasette minuti di musica). Tuttavia, se Rituals era un tentativo apprezzabile di uscire dalla comfort zone per battere nuove strade con la consapevolezza dell’azzardo, questo nuovo lavoro testimonia di una band che sembra in debito d’ossigeno, castrata nelle velleità di rinnovamento, ma anche incapace di dare lustro agli antichi fasti.
For Their Love suona vicinissimo a Tamer Animals, per la costruzione di paesaggi cinematografici, per l’impianto orchestrale, per la rimodulazione moderna del classico impianto folk rock, tra le cui pieghe si scorgono contiguità ai connazionali Midlake, rivisitato, però, attraverso la prospettiva umbratile dei The National o dei primi Radiohead.
Tuttavia, se la scrittura in Tamer Animals (come evocava la copertina dell’album) era uno sgranato bianco e nero ricco di fascino e di suggestioni malinconiche, For Their Love soffre di un eccesso di cromatismo, ridondante e forzato. Una verbosità chiusa nello spazio stretto di tre minuti, un condensato sonoro in cui l’eccesso di arrangiamento uccide l’impulso melodico di canzoni che girano sempre su se stesse, senza mai imboccare il percorso che porta dalle orecchie al cuore. Come se la scrittura non trovasse ragione d’essere se non nella forma, e la posa e l’enfasi potessero essere di per se veicolo di emozioni. Dieci canzoni che vorrebbero sedurre con un rigoglio di suoni e di colori, e che invece finiscono per ripiegarsi, con respingente freddezza, in un involucro tanto calligrafico quanto anonimo.
E non è un caso che, nemmeno dopo parecchi ascolti, ci sia qualcosa, una melodia, un’intuizione, un palpito, che meriti di essere ricordato. Perché si sa, il confine tra ambizioso e pretenzioso, è labile e sdrucciolevole.