Anche se sembra che alla fine ci abbiano presi per sfinimento, in realtà potremmo far finta che si tratti dell’esatto contrario. Alla milionesima edizione di X Factor, intanto, noi che ascoltiamo solo musica di un certo livello abbiamo imparato a scriverne correttamente il nome senza trattino. Quindi, dopo centinaia di strade alternative prese per evitare di trovarci a tu per tu con i partecipanti e doverne in qualche modo parlare, con la nuova edizione non ci sono più scusanti. La popolare trasmissione è scesa a compromessi alzando e raffinando la qualità della proposta, ma è anche vero che con il passare del tempo - e con l’età - anche i più intransigenti detrattori si sono rincoglioniti, il che spiega il passaggio alla terza persona plurale. Di fronte a un gesto di riconciliazione così eclatante da raffreddare gli animi di entrambe le fazioni non si può non far finta di nulla.
E così eccoci qui: è uscito un vero e proprio mixtape con le 12 tracce presentate dai partecipanti alla prima puntata. Oggi i mixtape sono così di moda, che poi non sono altro che compilation come quelle del Festivalbar. Il fatto è che la canzonissima del duemila, questa volta, è partita con una batteria di inediti di tutti gli artisti, spostando così il focus della proposta musicale del programma da quello di uno spettacolo sulla musica e sulle dinamiche tra i giudici, in cui l’interpretazione delle cover era al centro e l’interprete un di cui, a quello di una manifestazione canora, nella quale il giudizio - almeno il primo - lo si deve esprimere sulla qualità dei pezzi originali presentati e non sul progetto in sé costituito dal (e costruito sul) personaggio che canta. In “X Factor Mixtape 2020”, pubblicato in formato streaming su Spotify, ci sono solo le canzoni dei 12 partecipanti nude e crude e nulla di più.
Il fatto è che degli innumerevoli cantanti e band protagonisti delle passate edizioni è rimasto ben poco. Quanti e quali hanno fatto della musica un mestiere e pubblicano dischi con regolarità? A me vengono in mente solo Giusy Ferreri, Marco Mengoni e Francesca Michielin. Mi sono dimenticato di qualcuno? Tutte le proposte, dalle più commerciali e tamarre sino alle più raffinate e di nicchia (i Bowland su tutti) sono sparite nel nulla, spremute e strumentalizzate al fine di far crescere la trasmissione per fare ascolti e attirare pubblicità - come è giusto che sia - e poi abbandonate al primo Autogrill come animali domestici che non servono più, una volta che il programma stava per giungere a destinazione. In più c’è un altro fattore di cui la produzione non poteva non tener conto. Una trasmissione live ai tempi di una pandemia globale e in crescita, in cui il pubblico presente gioca un ruolo decisivo con la sua imprevedibilità sulle performance che si tengono sul palco, doveva necessariamente essere ripensata.
Ne consegue che in un benchmarking con i talent musicali competitor diretti - Amici su tutti -, dal punto di vista della creazione di popstar, X Factor risulta un flop senza precedenti. In più, negli ultimi anni, sembra che la formula abbia rotto i maroni, a partire dai giudici buonisti che non aizzano più l’indotto del giornalettismo che va a caccia di gossip.
E poi, diciamocelo, le cover belle e convincenti da portare in gara non sono infinite. L’edizione 2020 ha cambiato in parte le carte in tavola. I concorrenti questa volta partono con una personalità artistica - passatemi il termine - già sin troppo definita. Cantanti e band piuttosto inquadrati in un genere difficilmente scardinabile dal contest - c’è un abisso di versatilità rispetto agli altri anni, quando invece si prediligeva la duttilità della componente pop - e con inediti pronti all’uso. Vedremo quale sarà la strategia del programma per convincere il pubblico a non cambiare canale sino al termine di questa edizione, ora che quello che accadeva in finale - la presentazione di un pezzo inedito - è stato utilizzato come punto di partenza e non di arrivo.
Da tutto ciò deriva una raccolta di 12 canzoni che sorprende non solo per qualità e varietà, ma perché rende superflua la gara in sé. Quest’anno X Factor potrebbe finire qui, con 12 partecipanti che sono saliti sul palco di un Sanremo qualunque e hanno fatto conoscere le loro canzoni. Il sistema è stato abbattuto? Abbiamo vinto noi? È ancora presto per dirlo, ma nel frattempo ascoltiamo le tracce perché potrebbero riservare delle sorprese.
Vi dico subito i miei preferiti, così arriviamo al dunque. I Little Pieces of Marmalade presentano un format inedito per il nostro mercato - batteria/voce e chitarra - e di difficile gestione. Il richiamo ai White Stripes è riduttivo perché sono molto meno fighetti e il brano, “One cup of Happiness”, se non fosse stato presentato alla corte di Cattelan probabilmente sarebbe già sulle playlist degli indie rocker più esigenti. Per non parlare di N.A.I.P., un vero outsider non solo per il programma ma anche per il mondo intero, raro esempio di techno-situazionismo intellettuale e industrial-demenziale, una versione trap-songwriting a metà tra Max Headroom e MGZ.
Ci sono poi brani molto più mainstream ma, non per questo, meno azzeccati. “Cuore nero” di Blind ha un titolo che richiama trame nazifasciste e, per questo, fa un po’ paura ma poi si scopre che le teste rasate non c’entrano e, addirittura, contiene un ritornello che ti si pianta nel cervello ed è già una hit. I Melancholia sono un prodotto fatto e finito e in qualunque universo parallelo non avrebbero alcun bisogno di nessun trampolino di lancio se non quello dentro a loro stessi. Per non parlare di Cmqmartina, che incarna perfettamente l’idea di pop elettronico e raffinato che hanno i millennials, e del calcuttiano Santi, in perfetta quota cantautori indie. Gradevoli anche i richiami eighties dei Manitoba (su cui nessuno avrebbe scommesso due lire), l’italo-reggaeton di Vergo e persino le canzoni che sanno di già sentito, come Eda Marì, Bluefelix, Mydrama e Casadilego.
“Mixtape 2020” dà l’impressione di una scelta di campo di X Factor, prova di un modello ormai superato che lascia spazio a un nuovo approccio ai tempi del Covid-19, in cui la nuova normalità impone un punto di vista diverso. È chiaro che la decisione di passare la palla al valore di cantanti e band non è per nulla disinteressata. Ci saranno le cover e ci sarà lo spettacolo, come sempre. Ma la capacità di adattamento alla situazione e la necessità di non perdere in credibilità, in ascolti e, ovviamente, in raccolta pubblicitaria, questa volta, almeno in questa fase, è a tutto vantaggio dei concorrenti. Quindi va bene così.