Dopo lo splendido American Man del 2015 restano immutate le coordinate espressive degli Yawpers, band tra le più interessanti degli ultimi anni nel rimaneggiare i suoni della tradizione americana. Il Country/Rock e il Rockabilly soprattutto che il terzetto di Dallas - Nate Cook (voce, chitarra e autore di tutti i brani), Jesse Parmet (chitarra, voce) e Noah Shomberg (batteria) – aggredisce con l’attitudine delle migliori Punk/Blues band. Pressoché infinita quindi la lista degli artisti che hanno influenzato il loro universo sonoro, per semplificare potremmo tracciare una linea immaginaria che parte dall’epoca d’oro della Sun Records e termina con gruppi irregolari come Violent Femmes e White Stripes (anche gli Yawpers fanno a meno del basso), nel mezzo tutti quegli artisti che si sono distinti per l’indomabile attaccamento alle radici e il contestuale tentativo di rinnovamento.
Boy in The Well vede la band alle prese con il quarto album, il più complesso e ambizioso della loro ancor giovane discografia, un concept ambientato in Francia subito dopo la prima guerra mondiale e costituito da 12 brani in cui si raccontano le esperienze di un ragazzo che cresce, solo e impaurito, dopo essere stato abbandonato dalla madre dentro un pozzo. Il disco, prodotto da Bob Stinson dei Replacements e impreziosito da una graphic novel di J.D. Wilkes dei Legendary Shack Shakers, scorre via a velocità alterne, un calderone ribollente stati d’animo che mutano con il dipanarsi della vicenda in cui convivono sospensioni ritmiche dal grande potere evocativo e improvvise deflagrazioni del suono.
Molti i brani che funzionano anche se isolati dal contesto narrativo a cominciare dalla prima traccia, Armistice Day, canzone davvero efficace nel suggerisce il mood predominante in scaletta. Atmosfere dilatate e scompiglio imminente. Notevoli a questo proposito il crescendo finale di The Awe And The Anguish e Face To Face To Face vere e proprie cartine al tornasole della pienezza sonora raggiunta dal combo texano. La voce ruvida di Nate Cook è educatissima nell’affrontare tutti i registri, dal cantautorato lo-fi agli anthem punkettari urlati a squarciagola, non fa differenza per lui. Altra perlina del disco è Mom Nom, le due chitarre dialogano tessendo frenesie ritmiche sempre più aggrovigliate mentre il bravo Noah Shomberg non perde un colpo sulle pelli mettendo in mostra un drumming in perfetto stile Cowpunk. Brano magnifico a cui perdoniamo, senza ragionarci troppo su, la somiglianza del riff a quello di Straight Up And Down dei Brian Jonestown Massacre (ricordate la sigla iniziale di Boardwalk Empire?). Rimarchevoli anche Room With A View e God’s Mercy, gli unici episodi che ammaliano senza scalciare, utili a riprender fiato e sottolineare le fasi più toccanti del racconto, del ragazzo che vede il mondo dallo sprofondo di un pozzo a cui è stato costretto. Chiusura affidata a Reunion, il brano più radiofonico del lotto. Disco che si fa fatica a togliere dallo stereo in grado di soddisfare pienamente i fan di Johnny Cash come quelli dei Cramps. Per niente facile.