Ci sono storie artistiche che non finiscono mai, come se il tempo che non passasse e la vita si fosse cristallizzata in un giovinezza che sembra senza fine. Di anni, per David Crosby, ne sono passati tanti (per la precisione ne ha compiuti ottanta il 14 agosto di quest’anno), ma l’ispirazione che anima i suoi dischi sembra rimasta ferma ai suoi giorni di gloria. Anzi, a onor del vero, c’è stata un’improvvisa accelerazione della prolificità, nonostante, oggi, l’esistenza del baffuto chitarrista dovrebbe muoversi con il passo lento della vecchiaia.
Molto, infatti, è stato detto sul fatto che David Crosby abbia vissuto una rinascita creativa soprattutto nell'ultimo decennio, cosa del tutto evidente se si considera che negli ultimi sette anni ha pubblicato cinque album da solista, superando di gran lunga il resto della produzione (solo tre dischi) concentrati nel periodo che va dal 1971 al 1993. E non ci stupisce più di tanto: arrivato alla veneranda età di ottant’anni, come spesso è accaduto ad altri artisti a fine vita (viene in mente il Johnny Cash degli American Recordings), anche Crosby sembra spinto dalla volontà di chiudere in bellezza e di lasciare ai propri fan il maggior numero di canzoni possibile, come se il poco tempo rimanente fosse il propulsore di un motore che ora sembra aver ritrovato un’antica brillantezza.
Una traiettoria certo diversa, resa inevitabile dalla chiusura definitiva dei rapporti con i sodali degli anni d’oro (i rapporti burrascosi con gli altri componenti dei Crosby, Stills, Nash e Young è cosa nota) e dalla necessità di affiancarsi a musicisti altrettanto affidabili e in sintonia (il talentuoso figlio James Raymond, il suo fidato partner Michael League e i musicisti che compongono la sua band Sky Trails hanno fatto tutti la loro parte per riempire quel vuoto che sembrava incolmabile).
A ben vedere, Crosby è sempre dato il meglio quando faceva parte di una band, che fossero Byrds, CSN o CPR, e non è un caso che ogni suo disco ha sempre visto la partecipazioni di molti amici-musicisti. Non sfugge da questa logica corale nemmeno il nuovo For Free, che pur essendo un album solista, è in realtà un lavoro in cui a emergere è il collettivo: Crosby, certo, ma anche suo figlio, che regala al vecchio leone qualche splendida canzone (cosa che fa anche il grande Donald Fagen con Rodriguez For A Night), la collaudata band di accompagnamento e alcuni ospiti formidabili, tra cui Michael McDonald, che si aggiunge ai cori nell’opener River Rise, e Sarah Jarosz, che duetta insieme al chitarrista (trent’anni di differenza, un’intesa magica) nella cover di For Free presa dal repertorio di Joni Mitchell (della quale aveva già reinterpretato Amelia nell'album Sky Trails).
Per un complesso problema di artrite, Crosby non suona la chitarra in nessuna di queste canzoni, e si limita solo a cantare. Il dispiacere di non poter più ascoltare il suo celebre fingerpicking è compensato, però, da una voce che smentisce chiaramente la sua età, e che risuona limpida e risoluta, come se non fosse passato un solo giorno da quegli ormai lontanissimi anni di gloria west coast. Ciò che è evidente, in modo particolare, in canzoni come la sublime River Rise e The Other Side of Midnight, è una costante in tutta la scaletta del disco, che lascia stupiti di come a ottant’anni le corde vocali risultino ancora così elastiche.
A dispetto del tempo che passa e degli acciacchi fisici, Crosby palesa un’ottima forma ed è del tutto evidente che abbia ancora voglia e cose da dire. For Free è un disco curato nella forma e nella sostanza, cesellato da mani esperte e cura artigianale, e capace di rendere onore a un suono di cui il vecchio chitarrista è ormai da sessant’anni uno dei migliori interpreti. Niente di nuovo, ci mancherebbe, e tutto è prevedibile, tranne, però, la classe cristallina di una stella che non smette di brillare intensamente, nonostante il suo tempo stia volgendo a termine. E questo, alla resa dei conti, è ciò che fa la differenza.