Se c’è una cosa che bisogna riconoscere ai Bokassa, è che sanno restare con i piedi per terra. Dopo essere passati dai palchi dei pub norvegesi a quelli oceanici dei Metallica, a cui hanno fatto da gruppo spalla per un’intera annata di tour, chiunque si sarebbe montato la testa. I Bokassa no. Lungi dal sentirsi arrivati, hanno interpretato l’occasione regalatagli da Lars Ulrich come una sorta di “bonus surreale” per la loro carriera: l’occasione di migliorare come musicisti suonando quasi ogni sera, di visitare molti posti nuovi e di far conoscere la propria musica a molte più persone. Le arene e gli stadi non sono mai stati per i tre ragazzi un obiettivo artistico o di vita; chiusa quella parentesi, ciò che rimane non è il tentativo di emulare ancora quell’annata, ma la felicità che la loro musica possa adesso arrivare più facilmente ad una platea più ampia e che ora suonare fuori dalla Norvegia sarà un po' più facile di prima.
«Mi piace quando la gente a volte ci manda cover di chitarra o di batteria sui social media, penso che sia sempre molto bello. Tipo, “Ehi, qualcuno ha davvero registrato le mie parti di chitarra e le ha messe su YouTube?!” Questo mi fa sempre sorridere, perché per me è quello che si fa con le grandi band! E invece qualcuno là fuori lo ha fatto per noi! Mi mette sempre di buon umore quando le vedo» (da un'intervista a Jørn Kaarstad).
L’esperienza del grande palco non avrà quindi cambiato i Bokassa umanamente, ma ha inevitabilmente influito sul loro suono, portando il nuovo Molotov Rocktail ad esplodere alcune delle caratteristiche che iniziavano ad essere accennate nel precedente Crimson Riders (di cui avevamo parlato qui).
Lo stonerpunk degli inizi si è evoluto, togliendo parte della patina grezza e garage che lo caratterizzava e rendendo la formula più hard rock, più aperta e orecchiabile nei suoni, più divertente negli intenti e un po' più “da stadio” nel proporre gli “woah-woah” di rito.
Per poter meglio considerare queste caratteristiche, però, vanno evidenziati due elementi fondamentali: uno di contenuto e uno di processo. Il primo riguarda il mood e il senso dell’album. Molotov Rocktail è figlio del 2019 non solo e non tanto a causa dell’esperienza con il Worldwired Tour, ma per via dei dischi che sono stati pubblicati in quell’anno. Jørn, Bård e Olav ascoltano moltissimo punk, metal e stoner rock, ma Jørn in particolare (cantante e chitarrista) è un figlio del punk che nel 2019 è stato conquistato dal meraviglioso album dei Dinosaur Pile-Up, Celebrity Mansions e da quello degli Angel Du$t, Pretty Buff (di cui anche noi abbiamo parlato qui e qui).
«Quell'anno erano usciti un sacco di bei dischi, ma mi ritrovavo sempre ad andare su quei due. Erano un po' quegli album che metti su e ti mettono di buon umore. Mi sono detto: “Anch'io voglio fare uno di quei dischi!”. Volevo che avessimo un disco come quello: solo divertimento e intrattenimento dall'inizio alla fine». (da un'intervista a Soundsphere)
Se l’intenzione era questa, si può dire che con Molotov Rocktail l’obiettivo è stato raggiunto con successo.
Il secondo elemento da tenere in considerazione, che alimenta anche la buona riuscita del primo, è invece la produzione e il budget a disposizione. Rispetto ai precedenti, in cui erano legati a piccole etichette indipendenti, questa volta il trio pubblica per Napalm Records e si è fatto aiutare per missaggio e masterizzazione da Machine (Clutch, The Bronx, Every Time I Die). Il loro suono, in questo modo, risulta meno impastato e meno grezzo, pur non perdendo di grinta ed esplosività, e valorizza finalmente la roca voce di Jørn, non più nascosta da uno spesso velo di riff stoner. Certo, una quota parte di heavyness ne ha risentito, e per chi ama i primi due album della band qualcosa un po' si perde, ma se l’obiettivo era di divertirsi un po' sperimentando qualcosa di più allegro e di diverso, pur restando fedeli ai propri stilemi e alla propria identità, quella di Molotov Rocktail è un'evoluzione da comprendere e da godersi per quello che è: un ottimo disco adatto ad essere suonato e cantato dal vivo.
Al netto della composizione melodica (gestita primariamente da Jørn, con contributi nella creazione dei riff da parte di Bård e Olav) risultano comunque interessanti anche i testi, che spesso e volentieri, a parte alcuni più divertenti e divertiti, riflettono e inveiscono sui mali e le degenerazioni della nostra società. In “Pitchforks’R’Us”, ad esempio, si parla della crescente tendenza a offendersi per quasi tutto, demonizzando chiunque tenti di sottrarsi al tribunale del popolo. A tale riguardo Jørn sottolinea come, al di là delle cause per cui ci si indigna, ciò che rende degenere questo movimento (e motivo dell’ironia della canzone) è la quantità di persone che si uniscono alla folla perché gli piace vedere e sentire il sangue, come nelle cacce alle streghe di una volta, senza curarsi nemmeno della ragione per cui ci si starebbe battendo.
Su “Burn It All (P.T.S.D.E.A.D)”, invece, si racconta di chi ha creduto in qualcosa per tutta la vita, vivendo e combattendo per un unico obiettivo, per poi rendersi conto che era tutta una bugia. Dei vari singoli sinora usciti (“So Long, Idiots!”, “Hereticules”, “Careless (In the Age of Altruism)”), questo è anche quello con il video più divertente, giocato ironicamente sugli assurdi e improbabili pregiudizi che alcune persone hanno su chi suona metal. Lo è per chi guarda, ma lo è stato anche per chi l’ha girato, perché i Bokassa l’hanno già eletto come il migliore che abbiano fatto finora. Un’avventura fatta di una due giorni con il regista Troll Toftenes, in cui la parte più difficile è stata il filmare le teste di pecora imbrattate di carne macinata e sangue finto per farle sembrare horror... e di una puzza mefitica che li ha accompagnati per giorni, per quanto la testa di pecora cotta sia considerata dai norvegesi una vera e propria prelibatezza. Insomma, se il budget in dotazione dalla Napalm serve anche a questo, non saremo al livello dei divertentissimi video dei Red Fang, ma si inizia ad avere armi per competere.
Ironici, allegri, sinceri e alla mano. I re dello stonerpunk aggiungono un nuovo album alla loro collezione, non sempre convincente in tutti gli aspetti, ma innegabilmente perfetto per farsi amare anche da chi ancora non conosce questi tre simpatici ragazzi di Trondheim. Per chi era già un fan, invece, Molotov Rocktail non è altro che un nuovo motivo per segnarsi in calendario le date dei loro live. Ci vediamo nel pit!