Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
08/07/2022
Thunder
Dopamine
Leggendari e immarcescibili, i Thunder tornano con un densissimo e vibrante doppio album, che conferma lo straordinario stato di salute della band britannica.

Immarcescibili e tetragoni di fronte all’avanzare del tempo e delle mode, i Thunder sono uno dei gruppi rock più conosciuti e popolari della Gran Bretagna, rinomati per la qualità dei loro dischi e per la straordinaria potenza dei loro concerti. Tredici album in studio, tra cui l’iconico debutto del 1990 Back Street Symphony, uno iato di sette anni, tra il 2008 e il 2015, e poi, la ripresa con Wonder Days, e una seconda giovinezza scandita da un album ogni due anni, esattamente come nella prima parte di carriera.  

Che la band londinese goda di ottima salute, lo si era capito dal precedente, scintillante, All The Right Noises, uscito poco più di un anno fa. Ed è anche evidente come la pandemia, e il conseguente lockdown, non abbiamo bagnato le polveri di un’ispirazione che continua a essere al top, grazie a un armamentario classic rock tirato a lucido e capace di colpire sempre il centro del bersaglio.

Tanto che, per questo quattordicesimo album in studio, il gruppo londinese si è superato, sfornando un doppio disco composto da sedici canzoni e lungo ben 71 minuti. Troppo? Forse, se non ti chiamassi Thunder, lo sarebbe. Invece, Dopamine, è un’opera riuscita ed ispirata, che non mostra punti deboli o cedimenti nonostante il ponderoso minutaggio, e che dispiega tutto il consueto retroterra di vibranti canzoni dal tiro hard rock e di ballate intense e melodiche.

Si parte a cento all’ora con "The Western Sky", un brano che strattona l’ascoltatore, trascinandolo per il bavero coi suoi riff pesanti, la ritmica possente e la voce scintillante di Danny Bowes, la cui ugola non sembra aver subito le angherie del tempo. "One Day I'll Be Free Again" è strutturata per accumulo, parte il riff di Morley, in quota Ac/Dc, e poi si aggiungono voce, basso e batteria, per un secondo episodio davvero elettrizzante. "Even If It Takes a Lifetime" rallenta, invece, il passo, è un blues sornione dagli accenti country e dal ritornello irresistibile, mentre la successiva "Black" rispolvera il glam anni ’70, e "Unraveling" è il classico lento alla Thunder, melodico e radiofonico, il cui pathos è accentuato da un breve, ma intenso assolo di Luke Morley. 

Niente di nuovo sul fronte occidentale, certo, ma nella loro confort zone, i Thunder difficilmente abbassano l’asticella qualitativa. "The Dead City" ringhia e sbuffa sopra un riff duro come la pietra e conquista con un ritornello acchiappone che fa venire in mente i Buckcherry, "Last Order's" è un brano in crescendo e bluesy, che vede Luke Morley alla voce in una prima parte lenta, che accelera, poi, in una seconda parte scossa dal consueto assolo di poche note ma tutte centrate. Il cd si chiude con "All The Way", una poderosa sassata hard rock (la cui matrice evidente è "We Will Rock You" dei Queen), che lascia la bocca buona per approcciarsi al secondo dischetto.

Riusciranno i nostri eroi a mantenere alta l’ispirazione o le cartucce migliori sono già state sparate? Il tempo di porsi la domanda, e Dopamine ricomincia con "Dancing In The Sunshine", un rock cadenzato, rimbalzante e traboccante di gioia. Ancora meglio la successiva "Big Pink Supermoon", sei minuti blues swingati, in cui la band giostra alla grande intorno alla voce da califfo di Bowes e agli assoli scintillanti di Morley, sempre più efficace. "Across The Nation" è un tiratissimo rock da stadio, di quelli che messi in apertura di show rendono gli animi incandescenti, "Just A Grifter" apre una parentesi dalle atmosfere folk, con un retrogusto dolce amaro da caffè parigino, evocato da fisarmonica e violino.

Un sali e scendi continuo, una formula collaudata, certo, ma che rende vario e divertente l’ascolto, e non stanca mai. Così, la seguente "I Don't Believe The World" è un brano ritmato, insaporito dal cantato soul di Bowes e dall’ennesimo prodigio di Morley, che piazza a metà brano un’unghiata delle sue, grazie a un assolo stranamente stridente rispetto al mood della canzone. C’è ancora spazio per la tambureggiante Disconnected, brano che evoca i giorni della pandemia, la ballata pianistica "Is Anybody Out There?" e la conclusiva "No Smoke Without Fire", un momento cupo e lunatico, che esplode in una rabbiosa e martellante parte centrale per poi rallentare nella sei corde di Morley in un inquietante outro dal sapore blues.

E’ un vero e proprio viaggio attraverso il mondo e la storia dei Thunder, quello che si affronta con l’ascolto di Dopamine, un altalena di emozioni, in cui convivono, uno vicino all’altro, ringhi rock e carezzevoli ballate, senza che la band snaturi il proprio stile, ormai consolidato nel tempo. E’ davvero incredibile come i Thunder riescano a tenere la barra dritta per così tante canzoni, e non rischino mai la deriva, esibendo uno straordinario bagaglio tecnico, ed evitando, tuttavia, di perdere quel fuoco ardente, rappresentato dalla voglia di continuare a divertirsi, nonostante tutto. Saranno prevedibili, forse, ma non tradiscono mai. E questo, a prescindere da ogni altra considerazione, è un buon motivo per continuare ad amarli.