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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
15/07/2022
Live Report
Kokoroko, 13/07/2022, Castello Sforzesco (MI)
Dopo quello di Cimafunk la sera prima, questo del Castello Sforzesco è il secondo concerto di anteprima del Jazzmi. I Kokoroko hanno preso possesso del palco davanti ad una platea decisamente più gremita di quanto la reale fama del gruppo jazz-afrobeat avrebbe lasciato immaginare, confermandosi una delle prossime stelle della sempre più importante scena londinese del Jazz contemporaneo.

Dopo quello di Cimafunk la sera prima, questo del Castello Sforzesco è il secondo concerto di anteprima del Jazzmi, che si svolgerà nel capoluogo lombardo dal 29 settembre al 9 ottobre. Per nulla retrograda o nostalgica, la manifestazione ospita da sempre le più importanti realtà della scena contemporanea, e quest’anno il programma appare particolarmente ricco, con l’annuncio, pochi giorni fa, di nomi importanti come Cinematic Orchestra ed Ill Considered, che si vanno ad aggiungere ad act blasonati come Jaimie Branch, Emma-Jean Thackray e i nostrani C’mon Tigre.

Preceduti da un intervento, francamente trascurabile, dell’assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, che ha oltretutto la brillante idea di storpiarne il nome in Cocoricò (capisco la necessità delle istituzioni di presenziare a certi eventi, ma che almeno si preparino a dovere!) i Kokoroko hanno preso possesso del palco poco dopo le 21.15, davanti ad una platea decisamente più gremita di quanto la reale fama del gruppo avrebbe lasciato immaginare.

Potenza della location (sempre suggestiva, nonostante i non trascurabili problemi di resa sonora)? Oppure dei 100 milioni di ascolti totalizzati da “Abusey Junction”, il brano del 2018 con cui si sono rivelati al pubblico? Può darsi un misto di tutti e due i fattori, ma bisogna considerare anche che certe sonorità, anche nella loro declinazione più sperimentale e contemporanea, godono da sempre un seguito nel nostro paese, maggiore di quello del Rock alternativo in tutte le sue numerose incarnazioni.

 

L’ensemble londinese esordirà sulla lunga distanza il 5 agosto con Could We Be More, che verrà pubblicato dalla prestigiosa Brownswood Recordings, e che costituisce il seguito di un EP di quattro brani uscito nel 2019 e di una manciata di singoli, tre dei quali figureranno anche nella tracklist del disco. È dunque materiale in buona parte inedito, quello che i sette (manca, per ragioni a me ignote, la sassofonista Cassie Kinoshi) offrono al pubblico questa sera. Non sembra però un problema, dato che la loro miscela di Jazz e Afrobeat, al netto delle consistenti fughe strumentali, non risulta niente affatto complessa e può essere apprezzata senza problemi anche da chi non avesse dimestichezza con le versioni in studio dei brani.

L’asse portante della formazione è costituito dal batterista Ayo Salawu e dal percussionista Onome Edgeworth: insieme costruiscono un pattern ritmico di rara efficacia, sul quale si inserisce il bassista Duane Atherley, timido e defilato (come anche i suoi compagni di band fanno notare scherzando) ma preciso e inarrestabile per quanto riguarda il suo strumento. La chitarra di Toby Adenaike lavora molto sui fraseggi ed ha più un ruolo complementare, raramente sale in cattedra, mentre le tastiere di Yohan Kebede aggiungono un tocco ai afrofuturismo al sound del gruppo. Su tutti svettano poi Sheila Maurice-Grey e Richie Seivwright, rispettivamente tromba e trombone, che si occupano anche delle poche parti vocali presenti nei vari pezzi. Di fatto sono loro a costituire spesso e volentieri la quota solista delle composizioni, e la loro attitudine solare, sempre pronta a coinvolgere il pubblico, giocano un ruolo non da poco nell’esibizione.

 

 

Non è una proposta particolarmente complessa, dicevamo, le melodie sono accattivanti, spesso ridotte all’osso e basate sulla reiterazione, come da tradizione africana, e il lavoro della sezione ritmica garantisce che si balli a dovere.

In scaletta, oltre ad “Abusey Junction” (peraltro uno dei pochi episodi dall’impostazione chitarristica),  a “Carry Me Home” e “Something’s Going On”, due dei singoli apripista del disco, arrivano anche due cover, tra cui un pezzo annunciato come “Caribou”, dal feeling pesantemente caraibico ed un altro intitolato “Body And Soul”.

 

In generale performance di gran livello, che ce li mostra come una realtà già perfettamente oliata in sede live (dopotutto sono in giro da sei anni ed uno dei primi concerti in assoluto, stando a quanto da loro dichiarato, lo hanno tenuto nel 2017 a Torino). Peccato solo per i volumi troppi bassi (inaccettabile piegarsi a certe limitazioni di decibel, non credo sia più sostenibile organizzare concerti all’aperto a Milano se le condizioni sono queste) che hanno permesso ai soliti maleducati (non pochi, per la verità) di conversare indisturbati per tutto il tempo, spesso coprendo la musica. Al di là di questo, Could We Be More potrebbe essere uno dei dischi del 2022 e i Kokoroko una delle prossime stelle della sempre più importante scena londinese del Jazz contemporaneo.

Se lo scopo di questa serata era renderci impazienti per il Jazzmi, ci sono riusciti alla perfezione.

 

Photo courtesy: Lino Brunetti