Quanto siano profondi e ricchi gli archivi di Neil Young è una domanda a cui probabilmente non potremo dare mai una risposta. Quel che è certo è che il vecchio canadese, continua ad attingervi e a pubblicare dischi in quantità industriale, tanto che, anche un vecchio fan incallito come il sottoscritto, ha finito per perdere il conto, anche solo delle uscite dell’ultimo anno.
Toast è un disco risalente a più di vent’anni fa, quando Young, nell'autunno del 2000, con in animo di dare sfogo alla creatività elettrica dei suoi Crazy Horse, iniziò a registrare un pugno di canzoni presso gli ormai fatiscenti Toast Studios (da qui il titolo) di San Francisco. Non un gran periodo per il vecchio canadese, la cui relazione con la moglie Pegi era ormai al tracollo, circostanza che trasformò questi brani, dal minutaggio ponderoso e dalla struttura scarna e grezza, in qualcosa di estremamente doloroso, qualcosa di così intimo e lacerante da essere considerato inadatto alla pubblicazione.
Fino a oggi, almeno, quando la scaletta completa di Toast è stata riesumata e ripubblicata, dopo aver preso vent’anni di polvere negli infiniti sotterranei di casa Young. Un disco importante, certo, nella ricostruzione del lungo percorso artistico del grande canadese, ma anche un’opera discontinua, non del tutto centrata, anche se, sicuramente, assai appetibile per gli amanti del suono Crazy Horse. Alcuni dei brani presenti in Toast, meglio precisare, furono riproposti, qualche tempo dopo, nel disco Are You Passionate? (2002).
Uno di questi, "Quit", apre l'album creando una trasandata e rilassata atmosfera soul: un inizio piacevole ma poco coinvolgente e privo digrande incisività. Completamente all’opposto, il secondo brano in scaletta, "Standing In The Light of Love", mostra i muscoli attraverso il ringhio di chitarra e la voce tirata di Neil. Un brano quasi hard rock, grave e carico di elettricità, nella miglior tradizione Crazy Horse. Un'altra canzone ripresa da Are You Passionate? è "Goin' Home", una grintosa cavalcata costruita su chitarre nodose, che non suona molto diversa dalla sua incarnazione del 2002, ma che si distingue comunque per il riff sporco, graffiante, cupo, la ritmica quadratissima e i soliti assoli di Neil, parchi di note e incisivi.
Il passo pesante e gli abiti sudici di "Timberline", e i dieci minuti abbondanti di "Gateway Of Love", suonano esattamente come dovrebbero suonare dei brani dei Crazy Horse, anche se la seconda è più una sorta di jam a briglia sciolta, un canovaccio su cui sbizzarrirsi, libero nella forma e senza una precisa destinazione. "How Ya Doin?" è una riproposizione un po’ più ruvida di "Mr. Disappointment", mentre "Boom Boom Boom" è una versione ancora più lunga (ben tredici minuti) di "She’s a Healer", un altro brano che assume i connotati di jam, ottimo nelle finiture di chitarra, ma francamente troppo ripetitivo e abbastanza noioso.
Insomma, Toast è un disco che suona ondivago, che si muove per cinquantadue minuti fra alti e bassi, che regala cose preziose e altre sostanzialmente inutili. Il classico album imperdibile solo per i completisti dello zio Neil. Per tutti gli altri, assolutamente prescindibile.