Se si fa mente locale su quest’anno che ormai sta svolgendo al termine, è facile sottolineare come il 2022 sia stato segnato da grandi ritorni: i Tears for Fears hanno pubblicato The Tipping Point, a febbraio, i Porcupine Tree si sono riuniti per l'attesissimo Closure/Continuation, e poi ancora gli A-ha e gli Skid Row, solo per citare i primi che vengono in mente. Tutti dischi che hanno dimostrato come questi artisti abbiano ancora molto da dire, esattamente come avviene per un altro gradito ritorno, quello dei King's X, che pubblicano Three Sides of One, il loro primo album dopo quattordici anni.In un corpus di lavori che si è sviluppato in circa quattro decenni, i King's X hanno ottenuto ciò che poche band possono vantare, e cioè che non hanno mai cambiato membri e non hanno mai pubblicato un disco brutto. Tutte le loro uscite si sono distinte per la qualità del songwriting e la potenza della performance.
A volte considerati come precursori del movimento progressive-metal (definizione un po' riduttiva per il power trio americano), i King's X sono sempre stati una band curiosa di sperimentare, che non si è mai adattata del tutto a uno stile o a un genere specifico. Le loro canzoni possiedono nerbo ma anche cambi di tonalità inaspettati, spesso, si sviluppano attraverso riff pesanti e distorti, ma le melodie sono cosparse di lussureggianti armonie alla Beatles. In teoria, questi elementi tanto disparati non dovrebbero riuscire a convivere, eppure la band è riuscita a farli coesistere su disco con efficacia per circa quarant’anni.
La stessa cosa avviene in questo Three Sides of One, un disco che incarna alla perfezione, nonostante la lunga assenza dalle scene, l’idea di musica che la band ha coltivato nel corso della sua lunga carriera.
L’opener "Let It Rain", si muove attraverso territori quasi garage rock, e un brano oscuro segnato dal drumming scarno del batterista Jerry Gaskill e dalla voce espressiva di Dug Pinnik, che se le cava ancora egregiamente nonostante i settantun anni d’età. Una canzone cruda e diretta, a cui segue la breve ma musicalmente avventurosa "Flood Pt.1", in cui il più fangoso dei riff metal si sposa con sezioni di archi dal sapore arabo ed efficaci armonie. "Nothing But The Truth" mostra una band in palla, che suona serrata e grintosa, e che mostra ben poco i segni dell'età. Qui, c’è da mettere in risalto il lungo assolo di chitarra di Ty Tabor, emozionante e avvincente, probabilmente uno dei suoi migliori di sempre. Tabor è anche la voce in "Take The Time", uno dei brani più riusciti del disco: strumentazione essenziale e una spolverata d'archi, una melodia leggera e ariosa, di facilissima presa, evidentemente ispirata ai Fab Four,
Stanno benissimo, i King’s X, e prova ne è che nessun brano in scaletta scende mai di livello: dal blues rock di "She Call Me Home" (che descrive in dettaglio l’esperienza del batterista Jerry Gaskill dopo essere andato in arresto cardiaco), alla tirata adrenalinica di "Festival", dal funk di "Swipe Up" alla solare "Give It Up", ogni canzone dà segni di un’incredibile vitalità e di come la band sia ancora in grado di costruire grandi canzoni, dirette, all’apparenza grezze e semplicissime, eppure sempre efficaci.
Three Sides of One è un ottimo disco, che accentua l’inevitabile quesito di fine ascolto: è l’ultimo capitolo di una gloriosa storia o potrebbe esserci altra musica in futuro? Non c'è modo di saperlo con certezza, ma piace pensare che l’avventura dei King's X andrà avanti ancora per qualche anno, considerando un’evidente rifiuto di arrendersi di fronte all’età che avanza e alla mortalità. Se questa, invece, dovesse essere la fine del cammino, nonostante la band abbia ancora parecchia benzina nel serbatoio, sarebbe un’uscita di scena di quelle da ricordare.