Sono ormai passati più di quarantacinque anni dall'uscita di Eraserhead, esordio di un giovane David Lynch nel lungometraggio, e ancora oggi, che di cinema ne abbiamo visto molto altro (opere di Lynch comprese), non abbiamo i mezzi per decifrare un film come questo, nonostante interpretazioni legate all'inconscio o alla dimensione più terrena ne siano state date più d'una senza mai arrivare a nulla di risolutivo, e non è detto che si possa, e non è detto che sia necessario, e non è detto che si debba.
Eraserhead è un film considerato oggi seminale proprio perché non lascia appigli alla razionalità, perché si muove interamente in un mondo onirico che non necessita di spiegazioni, seppure alcune di quelle date nel corso degli anni possano anche sembrare plausibili. Sappiamo che in tutte le opere di difficile decifrazione, se si vuole, ci si può mettere di punta, muoversi nella direzione che si preferisce e cercare di far tornare i conti, con più o meno forzature, al fine di validare l'interpretazione che ognuno di noi preferisce sposare. Ma con Eraserhead (e con Lynch) nasce una concezione di cinema dove le sensazioni, le atmosfere e soprattutto le inquietudini la fanno da padrone, in barba alla trama e a tutte le regole scritte della narrazione, pur tenendo conto che nel mare di stranezze messe in scena con Eraserhead non è difficile intravedere una linearità di base al quale è comunque difficile attribuire un senso.
Ciò che veramente qui importa è il lavoro fatto con le immagini, con la luce, con i suoni, in un bianco e nero espressivo che anticipa tanti segni di stile del regista di Missoula e che poi esploderanno nelle opere successive di Lynch, molte delle quali più abbordabili di questo esordio (anche se non proprio tutte).
In un mondo post qualcosa (atomico, industriale, crollo economico, razionale) il timido tipografo Henry Spencer (Jack Nance) rientra a casa attraversando uno squallido quartiere che dà l'idea della rovina più totale; una volta a casa una vicina gli comunica che in sua assenza è passata una sua ex fiamma, Mary (Charlotte Stewart), per invitarlo da lei per una cena.
Quando Henry si presenta a casa della ragazza conosce la sua famiglia grottesca e peculiare: il padre Bill (Allen Joseph) con un'espressione stralunata costantemente stampata in faccia e la madre (Jeanne Bates), una donna senza peli sulla lingua che appena può approfitta per chiedere a un Henry molto a disagio i suoi trascorsi sessuali con la figlia.
Viene fuori che Mary è incinta; a breve i due andranno a convivere con il bambino che si rivelerà non essere un vero bambino ma un feto mostruoso che si lamenta di continuo, anche quando una volta rimasto solo Henry cede alle lusinghe della conturbante vicina di casa (Judith Roberts).
Intanto Henry fa sogni strani durante i quali vede una donna dalle guance deformate e gonfie (Laurel Near) che canta per lui e schiaccia embrioni di grandi dimensioni. Gli incubi continuano e Henry perde letteralmente la testa (che poi verrà trasformata in gommini per matite, gli eraserhead del titolo, ma questo è un dettaglio) ma tutto sembra muoversi sempre più solo su un piano onirico...
In Eraserhead si inizia a vedere il Lynch che verrà, quello delle sue opere più celebri, nei passaggi da un mondo (onirico) all'altro, in quei dettagli di confine già riconoscibili. Chi (ri)guardando oggi Eraserhead può non pensare a Twin Peaks al palesarsi di drappi e tendaggi, al comparire di quelle geometrie ora note che compongono pavimenti di spazi che sembrano sale d'attesa per l'ignoto e l'inconcepibile? Chi può non pensare al Lynch a venire di fronte a quelle lampade a stelo appoggiate al muro a illuminare il quadro (dello schermo) in una maniera così peculiare? E all'udire quei rumori? Quelle scariche elettrostatiche?
Qui c'è già il David Lynch che ameremo di più e che in quel 1977 irrompeva con una creatura informe tutta da catalogare (auguri!) che se ne infischiava di ogni senso se non di quello di un mondo altro (sogno, inconscio, chiamatelo come vi pare) che non concede grossi appigli al reale, nonostante le varie letture posteriori sul terrore della paternità (anche accettabili se vogliamo, come si diceva qui sopra).
È un unicum David Lynch nel panorama cinematografico ed Eraserhead dimostra come il regista lo sia stato fin dal principio, fin da quando rischiò di finire gambe all'aria per realizzare un film (questo) assolutamente anti commerciale e che vide una gestazione lunga quasi sei anni; poi le proiezioni di mezzanotte, poi la fama di cult movie, poi il successo, poi la storia...