A otto mesi di distanza da “The order of time” e dopo il successivo tour mondiale tutt’ora in corso, Valerie June ci regala un po’ della sua personalità live in un album registrato in presa diretta in una comfort zone radiofonica, priva della prossimità del pubblico, ma che conferma attraverso una discreta fedeltà dei brani alle versioni originali la genuinità della sua musica. Pochi fronzoli, tanta immediatezza e, soprattutto, un talento straordinario.
Qualche precisazione d’obbligo per introdurre la cantante originaria del Tennessee ai neofiti. Il primo aspetto che colpisce di Valerie June è il caratteristico timbro nasale che rimanda a certe incisioni di Billie Holiday. Quindi il suo modo di scrivere canzoni e di interpretarle, con quel mix di blues modernissimo, folk, soul, country e, a tratti, qualche incursione nel rock. E ancora la sua arte di ricamare melodie con uno stile personalissimo che, pur rimanendo circoscritto in una natura fortemente atipica, riesce comunque a non ripetersi mai durante l’ascolto di un album intero. Le canzoni stesse, poi: ballate, affondi grintosi, introspezioni sofferte, gospel in tempo reale dall’anima che trasudano sentimento, malinconia e tutta la sofferenza della musica nera. Infine c’è sicuramente la vistosa chioma di dreadlock che campeggia a corollario di un fascino e un carisma davvero unico, per un quadro complessivo di cui è impossibile non innamorarsi.
Dopo due album dei quali vi sfido a indicare quale sia quello meglio riuscito, Valerie June torna con una sintesi della scaletta dei suoi più recenti show in un disco dal vivo che ha l’unica pecca di non riproporre nemmeno un pezzo dall’album del 2013 “Pushin' Against A Stone”. A rendere il tutto ancora più magico è sicuramente l’atmosfera del live alla KCRW, così avvolgente da dare l’impressione di avere la band in salotto. Il suono è sempre ineccepibile, la musica gronda di un’intimità che non ha confronti, e se non l’avete mai fatto vi consiglio un giro su Youtube, cercare le numerose band che hanno partecipato al programma e dare un’occhiata a come si fa la radio musicale oltreoceano.
La tracklist, quindi. Il mini-concerto si apre con “Man Done Wrong”, con quel caratteristico modo blues di tenere con la voce la stessa melodia del banjo (e viceversa) su un groove di batteria essenziale e rallentatissimo, seguita da “Two hearts”, due cuori musicali - quello dell’organo Hammond e della voce - che battono all’unisono. Il ritmo, tenuto con le mani, accelera con “Shakedown” per poi rientrare nel blues accompagnato dal piano elettrico di “Slip Slide On By”. Il focus si sposta sulle radici americane con “With you” e ”If And”, per poi lasciare il posto alla bellissima “Astral Plane” (il brano che ha preceduto l’uscita di “The order of time” e che è stato composto originariamente per i Massive Attack), fino al pezzo che chiude la performance, “Got Soul”, la vera anima black di Valerie June. Otto canzoni inframezzate da qualche chiacchiera e dall’intervista con il dj Jason Bentley, in cui è possibile immergersi nell’essenza di Valerie June e ascoltarla raccontarsi in tutta la sua freschezza.
“Live At KCRW” è un disco che ha una doppia valenza. Può essere considerato un assaggio di un’artista unica nel suo genere, per chi ancora non la conosce, oppure un richiamo al suo valore per chi ha già assimilato del tutto “The order of time” e non vede l’ora di mettere sul giradischi del nuovo materiale. E per Valerie June, vale la davvero la pena struggersi nell’attesa.