Siamo nel 1953 e I vitelloni, tra le opere del primo periodo di Federico Fellini, può ancora essere accostato alla corrente del neorealismo italiano, movimento dell'immediato secondo dopoguerra dentro il quale Fellini non verrà mai inserito a pieno titolo se non appunto, in maniera marginale, per un paio di opere tra le quali compare proprio questo I vitelloni, uno dei suoi film più apprezzati e riconosciuti anche all'estero.
In effetti, mettendo in parallelo le principali caratteristiche della corrente neorealista e i contenuti de I vitelloni è facile notare come solo alcune di queste siano sovrapponibili tra film e filone. Fellini mette un poco da parte la Storia e si concentra sul privato dei suoi protagonisti; anche l'attenzione che molte opere neorealiste pongono sulla miseria e sulle difficilissime condizioni del dopoguerra sono qui messe in secondo piano, seppure il regista le lasci intuire, sempre comunque in maniera fievole.
Sono diversi ormai gli anni trascorsi dalla fine del conflitto, i nostri sfaccendati protagonisti, seppur in stato di carenza di lavoro, non danno mai l'impressione dei veri miserabili, si concedono qualche piccolo vizio, hanno tutti un tetto familiare ad accoglierli, vestono tutto sommato bene, non sentono quel morso della fame che spesso la faceva da padrone al cinema solo fino a qualche anno prima.
Al centro del racconto più che ragazzi stritolati dalle difficoltà si iniziano a vedere giovani senza direzione, allergici al lavoro in taluni casi (quasi tutti in effetti), preda di qualche vizio di troppo per l'epoca. Certo, il contesto sociale non è ancora florido ed è sfondo su cui costruire, I vitelloni non presenta nemmeno tutti quegli accenni autobiografici di cui spesso si dice in merito a questa pellicola che, tra l'altro, non è neanche stata girata a Rimini, città natale di Fellini, anche se in qualche modo l'ambientazione potrebbe essere quella della riviera romagnola.
Il film si apre nel momento dell'incoronazione della reginetta di un concorso di bellezza tenutosi sulla spiaggia durante la quale viene eletta vincitrice la giovane Sandra (Leonora Ruffo). Nel seguente parapiglia dovuto a un'improvvisa tempesta la ragazza si sente male; uno dei protagonisti, Fausto (Franco Fabrizi), intuita l'origine del malore di Sandra (è incinta), sapendosi colpevole tenta di levare le tende, il padre (Jean Brochard) che è uomo vecchio stampo e tutto d'un pezzo lo costringerà a restare e a sposare la ragazza.
Così Fausto resta, come resteranno nel paese che sembra offrire sempre così poco i suoi amici: l'immaturo e fannullone Alberto (Alberto Sordi) che ancora si mantiene scroccando qualcosa alla sorella lavoratrice Olga (Claude Farell), Riccardo, il meno definito e afflitto dal vizio del gioco (interpretato da Riccardo Fellini, fratello del regista), Leopoldo (Leopoldo Vannucci) che sogna di poter vivere scrivendo commedie, quantomeno ci si impegna, e infine c'è Moraldo (Franco Interlenghi), grande amico di Fausto e fratello di Sandra, miscela che porterà a qualche difficoltà, l'unico all'apparenza più serio e senza grilli per la testa, riflessivo, malinconico, sarà l'unico che (forse) riuscirà a muoversi per costruire qualcosa lontano dai luoghi natii.
Quello de I vitelloni non è ancora il Fellini "magico" che più avanti sarà definito dalla critica proprio in virtù della sua propensione a sconfinare nel "visionario" e nel "fantastico", termini che virgolettiamo per dare definizioni "con le molle". È un regista che lavora sulla commedia mettendo a nudo e in risalto i vizi e i malcostumi di questi giovani protagonisti, mischiando il lato più umoristico con il melodramma dato qui dalla condizione di Sandra, neo mamma, costretta all'affronto del dover vivere con un giovane marito (che ama), il quale non riesce a trattenersi dall'andar dietro ogni gonnella che vede passar per strada.
Tra i vari sfaccendati, tutti a loro modo buoni più che altro a parole, sempre a proporre di andarsene ma inchiodati a quel dolce far nulla di provincia in un'epoca ancora non raggiunta dal boom economico prossimo futuro, l'unico più quadrato (ma altrettanto perso a parer di chi scrive) è Moraldo che tiene gioco all'amico di sempre per non inquietare la sorella per poi dargli una lezione da ricordare sul finale, poche parole ma ficcanti. Sarà l'unico ad andarsene davvero, verso cosa, verso dove nemmen si sa. Forse, ipotesi non confermata, l'interessamento alla vita di quel ragazzino che lavora in ferrovia gli ha smosso un qualcosa dentro.
Sotto il profilo meramente costruttivo e tecnico ci sono già sequenze gestite da grande regista a partire dalla festa iniziale finita sotto l'acqua per concludere con la sequenza magistrale con Moraldo che va via in treno e con il carosello dei suoi amici che gli corrono sotto gli occhi, addormentati nelle loro camere da letto, come se queste scorressero al di là del finestrino, un passaggio davvero formidabile. Non sono da meno alcune scelte narrative come il contrasto tra generazioni ben esemplificato dal papà di Fausto, uomo integro e ben disposto, nonostante il figlio sia più che trentenne, a prenderlo a cinghiate dopo che questo ha fatto soffrire per l'ennesima volta la sua povera moglie.
Tra neorealismo (meno) e commedia all'italiana (un po' di più) I vitelloni rimane un pezzo di storia del nostro cinema da rispolverare senza remore.