Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
15/07/2017
Jessi Colter
The Psalms
The Psalms è un disco non facilmente etichettabile, ricco di digressioni strumentali, che attingono solo in parte dal country e dal gospel

Nonostante una discreta discografia alle spalle (risalente soprattutto agli anni ’70), un singolo leggendario (il pluripremiato I’m Not Lisa del 1975) e un paio di Grammy in bacheca, Jessi Colter viene ricordata soprattutto per essere stata la compagna di vita, prima di Duane Eddy, e poi di Waylong Jennings (per la cronaca è anche la mamma di Shooter Jennings). Una vita vissuta di luce riflessa e ingiustamente sotto traccia, dunque, nonostante Jesse abbia sfornato dischi di ottimo livello qualitativo, come Out Of The Ashes, ad esempio, ultima sua prova in studio risalente al 2006 e ben recensita dalla critica dell’epoca. A quasi settantacinque anni, la Colter ritorna sulle scene con The Psalms, una sorta di concept album, in cui la cantante di Phoenix prende ispirazione dal libro dei salmi, musicandone alcuni. A produrre, addirittura Lenny Kaye, fidato braccio destro di Patti Smith. Un progetto voluto fortemente dal chitarrista e partorito nel lontano 1995, quando Kaye, mentre si trovava a Nashville per collaborare con Waylong Jennings alla stesura dell’autobiografia di quest’ultimo, ascoltò la Colter al pianoforte, rimanendone impressionato. Dopo ventidue anni, quel barlume di idea è stato finalmente realizzato, e Kaye, oltre al proprio contributo sia come musicista (chitarra, basso e pedal steel) che come compositore e produttore, ha portato in studio niente meno che Al Kooper, che ha contribuito in modo fattivo alla realizzazione dell’album in veste di polistrumentista. The Psalms è un disco non facilmente etichettabile, ricco di digressioni strumentali, che attingono solo in parte dal country e dal gospel. Ostico, ma ovviamente non agnostico, questo nuovo lavoro della Colter trasuda spiritualità, è suonato meravigliosamente bene e cantato con il trasporto dovuto alla materia trattata. Tuttavia, l’opera paga pegno a un’eccessiva lunghezza e a un mood troppo meditativo per farsi apprezzare da tutti i palati, finendo, qui e là, per trasformare l’iniziale interesse in sbadiglio di noia.