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REVIEWSLE RECENSIONI
09/09/2018
Death Cab for Cutie
Thank You for Today
Con l’abbandono di Chris Walla e l’ingresso in pianta stabile di Dave Depper e Zac Rae, Ben Gibbard coglie l’occasione con Thank You for Today di portare i Death Cab for Cutie in una nuova fase della loro carriera.

Guardandola nel suo insieme, l’ormai più che ventennale carriera dei Death Cab for Cutie la si potrebbe dividere in quattro fasi. La prima è quella Indie, che include il demo You Can Play These Songs with Chords (1997) e gli album Something About Airplanes (1998), We Have the Facts and We’re Voting Yes (2000) e The Photo Album (2001), lavori in cui Ben Gibbard, un passo alla volta, protetto da una piccola casa discografica come la Barsuk Records, ha l’opportunità di crescere come autore e dare una chiara identità sonora a un progetto nato mentre era ancora il chitarrista dei Pinwheel.

Poi, nel 2003, si passa al secondo capitolo: alcune mirate apparizioni televisive (The O.C. su tutte) e l’uscita prima di Give Up dei The Postal Service e poi di Transatlanticism, permettono ai Death Cab for Cutie di raggiungere un pubblico più ampio e di firmare per una major come la Atlantic. Plans (2005) e Narrow Stairs (2008) fanno da corollario a questa parte della carriera del gruppo, dove la musica si fa più ambiziosa, scura e ombrosa, i dischi schizzano in cima alle classifiche e Gibbard diventa una specie di rockstar, perdendosi nelle spire dell’alcol e finendo sui rotocalchi per il matrimonio con l’attrice Zooey Deschanel.

Nel 2011 la band inizia la terza fase, con l’obiettivo di dare una rinfrescata al proprio sound: meno chitarre e più elettronica in Codes and Keys e una cura algida e maniacale della produzione in Kintsugi (2015), primo lavoro affidato a un collaboratore esterno (Rich Costey) e ultimo con Chris Walla alla chitarra. E ora che Walla non c’è più, sostituito in pianta stabile già durante la tournée di Kintsugi da Dave Depper (chitarra) e Zac Rae (tastiere), Ben Gibbard coglie l’occasione per  inaugurare con Thank You for Today un nuovo periodo della carriera dei Death Cab for Cutie – il quarto –, nel quale, per la prima volta, si guarda alle spalle e, sfruttando i punti forti di un gruppo che ha già detto molto, prova a utilizzare un nuovo linguaggio senza però stravolgere una formula e un’identità già chiaramente definite.

In una recente intervista, Gibbard ha detto che Thank You for Today ha dei punti in comune sia con The Photo Album sia con Plans. A conti fatti, ascolto dopo ascolto, non gli si può che dare ragione, dal momento che dal primo ha preso la maturità compositiva e la rotondità Pop delle melodie, mentre dal secondo ha ereditato la perfezione formale e l’estrema attenzione per le textures, con l’obbiettivo di creare un album dal suono caldo e avvolgente, dalle melodie cristalline e dove ogni strumento è al servizio dell’arrangiamento della singola canzone. In un certo senso, si potrebbe dire che Thank You for Today è quello che a suo tempo Codes and Keys non è riuscito a essere: una coerente raccolta di pezzi dove lo studio è usato come asso nella manica, quasi come fosse un membro aggiunto della band.

Fortunatamente, però, quello che non ha funzionato nel 2011, dove l’arrangiamento e la cura dei dettagli avevano preso il sopravvento sulle canzoni soffocandone il potenziale, funziona nel 2018, sia perché la mano di Gibbard e soci si ferma appena un attimo prima sia perché la qualità media delle composizioni è molto alta. C’è “I Dreamt We Spoke Again”, con il suo piano Wurlitzer caldo e avvolgente sorretto da una ritmica quasi Trip-Hop; “Your Hurricane”, una delicata ballata dalla melodia circolare; “When We Drive”, avvolta da layer di tastiere dal sapore fine anni Ottanta; “Near/Far”, uno spensierato brano Pop dalla produzione così curata che sembra uscito da Brothers in Arms dei Dire Straits;  “Autumn Love”, solare midtempo tutto chitarre acustiche a 12 corde e drum machine; “Northern Lights”, con il suo basso à la New Order e un cameo vocale di Lauren Mayberry dei Chvrches; e, soprattutto, “Gold Rush”, una ficcante critica alla gentrificazione che sta colpendo Seattle (la città natale di Gibbard), sviluppata a partire da un campionamento di “Mind Train” di Yoko Ono. Con il suo video à la “Bitter Sweet Symphony”, nel quale Gibbard si trova a osservare i passanti mesmerizzati dai loro telefonini mentre passeggiano, questo «requiem for a skyline» – non a caso scelto come primo singolo – ha un ritornello che è il perfetto riassunto del concept che sta alla base di tutto l’album: «Change, please don’t change/Stay, stay the same».

Poche e semplici parole che confermano come i Death Cab for Cutie, oggi, siano felici di essere quello che sono: una band comoda nel proprio vestito e pienamente realizzata, ma che, allo stesso tempo, è perfettamente consapevole che tutto ciò che si è lasciata alle spalle non tornerà più.