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REVIEWSLE RECENSIONI
11/12/2018
Not Yet Fallen
Homebound
Perché ascoltare i Not Yet Fallen? Perché ogni tanto anche l’Italia può vantare qualche piccola perla: una band che ha tutte le carte in regola per combattere ad armi pari con i colleghi d’oltreoceano. Ad astra.

Se si dovesse fare un elenco di ciò che manca a molti degli artisti italiani per poter essere all’altezza del mercato internazionale la lista sarebbe lunga. Nella maggior parte delle volte si scimmiotta i suoni più in voga negli Stati Uniti o in Inghilterra con risultati mediocri e produzioni discutibili, sembrando quasi sempre le versioni povere e rimasticate dei colleghi d’oltreoceano. Un po’ come cercare di vestirsi come il più cool della scuola per riuscire ad entrare nel suo giro e finire con il sembrare il solito sfigato.

Fortunatamente “la maggior parte delle volte” non è “tutte le volte”, e in alcuni casi anche gli artisti nostrani dimostrano di saper tener testa alle produzioni europee e di realizzare dei prodotti di qualità.

È il caso dei Not Yet Fallen, una piccola band di Padova attiva da dieci anni, costituita da cinque ragazzi che non si sono arresi al tempo, agli impegni familiari e lavorativi, e hanno continuato imperterriti nella loro missione musicale. Dopo un primo EP di 6 tracce a inizio 2008 (Collapsing Under Broke Icons), un demo di 3 tracce nel 2010 (Remembrance) e un primo album nel 2013 di 9 tracce (Closing Lines), tutti rigorosamente autoprodotti e auto-distribuiti, i Not Yet Fallen decidono di produrre un nuovo EP di 6 tracce, Homebound, affidandosi alle mani della Indelirium Record, etichetta indipendente dal 2003 e attiva in ambito punk e hardcore.

Il primo fattore che emerge dall’ascolto dei 18 minuti dell’EP è la produzione curata e l’innegabile sguardo alla scena metalcore europea e americana, unito a qualche nutrita occhiata di sottecchi ad un certo tipo di post-hardcore. Suoni non certo innovativi per il genere, ma realizzati con attenzione e passione: due elementi, purtroppo, non sempre comuni.

Il secondo fattore è invece la buona pronuncia e il cantato convincente di Francesco che, ben supportato dal lavoro dei suoi compagni, rende bene sia in growl che in pulito.

Il terzo, ma non per importanza, è l’atmosfera e il concept dietro cui si strutturano dei testi ben fatti, in cui si percepisce la sincerità e il sentimento con cui sono stati scritti.

Ma di quale concept stiamo parlando? Il viaggio in sé stessi, quello che si fa nel buio con una torcia in mano (come nell’artwork del disco), quello in cui non si capisce se si sta scavando in profondità o se si sta girando a vuoto, quello in cui è difficile capire se si sta arrivando ad una quadra con il proprio animo o se le fiere da affrontare sono ancora molte. La parola stessa che descrive l’EP, Homebound, nel suo significato richiama l’ambivalenza del tornare a casa e, contemporaneamente, dell’esserne costretto all’interno. Perché ogni viaggio alla ricerca di se stessi richiede sia uno sguardo e una prospettiva al di fuori di sé, sia di sconfiggere i demoni che ci costringono nelle nostre prigioni interiori.

Gli stessi titoli delle tracce guidano attraverso questa selva oscura. Un camminatore solitario (“Lone Walker (Foreword)”) che affronta paure e insicurezze grandi e piccole (“The Lesser Evil (In Regard to Anxiety)”), si prepara al collasso sociale (“Survivalist (about a wreck)”) e si rende conto di essere parte di un’infinita scalata di cambiamenti continui (“Countless Steps (Concerning change)”), fino ad arrivare al distacco (“Catharsis (Detachment)”) ed essere pronto al ritorno a casa (“Catharsis (The Comeback Chronicles)”).

Un racconto che se a livello sonoro si può apprezzare emotivamente, a livello di scrittura incontra delle riflessioni interessanti e, a loro modo, universali:

«Fuori dalla zona di comfort gli squali stanno aspettando. Oltre la nostra coscienza stanno prendendo forma nuovi fantasmi. I demoni si nascondono dietro l'angolo e i mostri stanno proprio sulla porta di casa. Sto affrontando scelte e conseguenze. Io non sono una preda. Sono sveglio e disposto a crescere per la prima volta. Morto, pronto a vivere in questo mare per il resto della mia vita. Non so ancora dove sia la mia strada, ma continuo a nuotare per affrontare i miei incubi. Alcuni potrebbero sapere che cosa sto per affrontare e mi spingo in avanti per testare la mia volontà. Se c'è una cosa che ho imparato da tutto questo, è che la mia casa non è da nessuna parte». “Survivalist (about a wreck)”.

«Abbiamo tolto le nostre ambizioni dall’armadio per tutta la vita e le abbiamo stuprate a morte». “Catharsis (Detachment)”.

«Ho cucito le cicatrici di molte lotte, sigillato la tomba dei miei demoni passati e sepolto le chiavi. Nel separarmi da tutto ciò ho perso la cognizione del tempo, ma nella ricerca di significato mi sono ritrovato. Una redenzione alberga dentro me […] So che anche questo passerà, ma rimarrò in piedi finché potrò resistere. Casa è dove non sei mai rifiutato». “Catharsis (The Comeback Chronicles)”.

Una piccola perla del nord-est italiano, a cui non possiamo che augurare di non demordere, di continuare a lottare e di continuare a suonare, in palchi sempre più grandi e, speriamo, sempre più europei. Ad astra.