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REVIEWSLE RECENSIONI
13/05/2019
Bad Religion
Age Of Unreason
L’era dell’irrazionalità e della paranoia governa sulle nostre anime, la fine della storia è vicina e tutti abbiamo bisogno dei nostri eroi per farvi fronte. Ecco allora che i Bad Religion scendono in campo, con le chitarre sguainate e i testi affilati, pronti a combattere nel nome della scienza e della razionalità. I re del political punk più erudito e dissacrante sono tornati e la corona è ancora salda sulle loro teste.

I Bad Religion non hanno certo bisogno di presentazioni. Nati nel 1980 a Los Angeles, California, hanno sempre affrontato i temi più attuali (società, religione, politica, diritti, potere dei media, etc.) usando con grande sapienza un equilibrio del tutto peculiare tra velocità, melodia e armonie vocali e lasciando il loro marchio di fabbrica nella creazione di testi linguisticamente eruditi e cinicamente diretti.

Ognuno dei suoi membri, inoltre, non solo ha fatto la storia in quanto membro dei Bad Religion, ma si è distinto sotto qualche frangente. Qualche esempio per i neofiti? Greg Graffin (voce) ha co-fondato la band a 16 anni, è l’unico membro che non l’ha mai lasciata nemmeno per qualche mese, è laureato e dottorato in storia della scienza ed è a tutt’oggi professore all’Università della California e alla Cornell University. Brett Gurewitz (chitarra) è oramai un businessman di fama, produttore e fondatore della nota Epitaph Records, mentre Brian Baker (chitarra) è l’hardcore-man del gruppo: tra le varie militanze che può vantare, è membro fondatore dei Minor Threat e dei Dag Nasty.

Detto questo, anche i meno avvezzi al genere capiranno che, dopo quarant’anni di attività nel mondo del punk rock e dell’hardcore melodico e a sei anni di silenzio dal loro ultimo (e bellissimo) True North (2013), se i pesi massimi sono tornati lo fanno per un motivo. E la ragione è che ci tengono a controllare che le nostre menti siano ancora libere dai pericoli insiti in questi anni bui, e che i valori di verità, libertà, uguaglianza e scienza ci guidino ancora nel discernere i fatti del mondo.

Il risultato? 15 tracce potenti, melodiche e veloci, per 38 minuti in cui, ancor più delle meravigliose chitarre di Brett Gurewitz e Brian Baker e del potente basso di Jay Bentley, ad affondare realmente il colpo sono la voce e i testi di Greg Graffin.

Le novità che si possono contare rispetto alla forma della canzone, infatti, non sono moltissime: possiamo citare le sperimentazioni più “catchy rock” su “Big Black Dog”, “Lose Your Head” e “Since Now” e quelle più mid-tempo su “Candidate”, che possono piacere ad alcuni e indispettire un po’ altri (a voi scegliere da che parte stare). Il resto dei brani si colloca entro il canone dei Bad Religion, facendo sì che chi li ama follemente ritrovi i suoi beniamini e chi ha con loro un rapporto più frastagliato legga nella loro nuova proposta sempre qualche cosa che non incontra appieno le sue aspettative.

Nella pratica, la band offre sempre dei pezzi brevi, realizzati meticolosamente, che centrano subito l’obiettivo e non si concedono fronzoli, sempre a cavallo tra il lato più melodico e quello al fulmicotone. Ottimo esempio le stupende “Do the Paranoid Style” e “Chaos From Within” e il bell’hardcore di “Faces of Grief”, anche se il titolo di migliore canzone dell’album (non me ne vogliano le altre) rischia di andare alla bellissima “End of History”.

Per apprezzare appieno il disco, in ogni caso, le (buone) cuffie sono quasi fondamentali. Senza, a meno di non ascoltarlo con un impianto stereo di buon livello, non si colgono adeguatamente le tante sfumature strumentali che impreziosiscono ogni brano e non si seguono con la dovuta attenzione i testi di Greg e Brett, alias gli elementi che rendono Age of Unreason realmente degno di nota nel panorama delle uscite musicali del 2019.

La forza di Age of Unreason, infatti, è in gran parte nei testi che il punk professor per eccellenza e mr. Brett hanno saputo confezionare. Certo, nella loro sterminata discografia troverete sicuramente dei testi che possono essere considerati in qualche modo “migliori” (ricordiamo che Age of Unreason è il loro diciassettesimo album), ma concorderete sul fatto che parlare dei tempi d’oggi non è facile per nessuno.

Le accuse (non molto velate) a Donald Trump, alla sua politica, alle preoccupanti tendenze di odio, irrazionalità, paranoia e paura che si respirano nella società di oggi emergono dirompenti. E la capacità di usare un lessico alto, mai banale, diretto e cinico al tempo stesso si ritrovano anche in questo attesissimo disco, dove i valori della ragione e della scienza non vengono mai meno, rappresentando sempre la più alta bandiera che i Bad Religion mirano a innalzare sui cuori e sulle menti di chi li segue.

In conclusione, al netto delle molte parole che potrebbero essere ancora spese per i Bad Religion e il loro Age of Unreason, aggiungiamo solo che anche in questo caso si conferma una delle più ironiche leggi della fisica del punk: tanto profonda è la voragine di nefandezze che popolano il mondo della politica e del vivere civile, tanto più forti saranno le voci del mondo punk che si leveranno in difesa dei principi più indifesi. O, detto in maniera più sintetica: tanto peggiore è la situazione politica, tanto più fighi saranno i dischi punk-hardcore.

Quindi, se sei un punk-hardcore kid dalla coscienza socio-politica piuttosto sviluppata (se dico “di sinistra” vi offendete?) resterai sempre arrabbiato e depresso nei confronti dei politici e della piega che sta prendendo la società, ma lo farai ascoltando un sacco di musica fantastica.

Non saprei dirvi se il gioco vale la candela, ma siamo abituati a lottare e rialzarci e in genere siamo in buona compagnia, quindi credo che in fondo ci vada anche piuttosto bene. Ti unisci a noi nella difesa dei migliori valori illuministi? Abbiamo buona musica.


TAGS: ageofunreason | badreligion | epitaph | hardcore | punk | recensione