Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
30/07/2017
Wilson Pickett
Mustang Sally

Quando arriva l’estate, arrivano anche i cosi detti tormentoni estivi, canzoni dal contenuto artistico prevalentemente nullo, che tuttavia scalano rapidamente le classifiche e ci ammorbano i padiglioni auricolari per due, tre mesi, duranti i quali si finisce per ascoltarli ovunque: per radio, sulle spiagge, nei villaggi turistici, alle grigliate con gli amici. Tanto che, a prescindere dai gusti personali, quando arriva settembre, di quella canzone non ne possiamo proprio più. Poi, ci sono quelli che potremmo, invece, definire i tormentoni eterni, i grandi classici, gli ever green, brani che coagulano i ricordi di una generazione e che hanno segnato un’epoca. Sono canzoni talmente belle che ci accompagnano tutta la vita, che si ascoltano sempre, ovunque e in qualsiasi stagione. Mi vengono in mente, in chiave rock, Light My Fire dei Doors, Smoke On The Water dei Deep Purple, oppure Stairway To Heaven dei Led Zeppelin, così abusata che in molti negozi di chitarre compare il cartello No Stairway To Heaven, per scoraggiare gli acquirenti a strimpellare il pezzo durante la prova dello strumento. Ciò che il meraviglioso brano degli Zep rappresenta per il rock, Mustang Sally, nella versione di Wilson Pickett, rappresenta per il rhythm & blues: un classicone di genere che quasi ogni artista propone nel suo repertorio, una canzone eseguita da tutti e così tante volte, che John Lee Hooker nel 1997 affisse sul palco del suo locale, il Boom Boom Boom Club di San Francisco, un cartello contenente l’invito "Please, No Mustang Sally". La canzone in questione era stata scritta nel 1965 da Mack Rice, songwriter tra i più apprezzati della scena R&B, che compose brani, tra gli altri, per Rufus Thomas, Ike & Tina, Buddy Guy e Albert King. L’ispirazione per scrivere la canzone venne a Rice dopo aver chiacchierato con la cantante Della Reese, che gli aveva confidato l’intenzione di acquistare una macchina, una Ford Mustang nuova fiammante. Rice si immaginò quella bella ragazza alla guida dell’auto e compose rapidamente il brano, intitolandolo Mustang Mama. Fu grazie a un suggerimento di Aretha Franklin che successivamente la canzone prese il definitivo titolo di Mustang Sally. La versione più nota, e anche più intensa, del pezzo, la si deve però a Wilson Pickett, celebre per aver scalato le classifiche l’anno precedente con la sua In The Midnight Hour. La cover eseguita da Pickett ebbe un immediato riscontro commerciale (pubblicata a settembre del 1966, arrivò al 15esimo posto delle charts statunitensi) e divenne ben presto un classico che tutti volevano eseguire. Eppure, il brano, in quella torrida versione, rischiò di non vedere mai la luce. Leggenda vuole, infatti, che appena finita la registrazione del pezzo, avvenuta nei mitici Fame Studios di Muscle Shoals, in Alabama, il nastro si fosse sfilato dalla bobina, cadendo a terra. Fu solo ed esclusivamente la perizia tecnica di Tom Dowd, ingegnere del suono e produttore dell’Atlantic, a salvare quella registrazione che sembrava ormai irrimediabilmente perduta. Mustang Sally ebbe poi un ulteriore periodo di gloria nel 1991, quando venne inserita nella splendida colonna sonora del film di Alan Parker, The Commitments.