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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
21/07/2017
Manic Street Preachers
(intorno ai) e capacità di non invecchiare intellettualmente
Sotto il profilo musicale, i quattro (per me e molti sono quattro, sempre) gallesi hanno avuto la capacità – rara – di utilizzare dei generi per raccontare. Ehi: testo E musica, non testo e una mucillaggine alla chitarra o al pianoforte.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Ho rischiato più volte di invecchiare intellettualmente. Probabilmente se si supera la prima, almeno nelle successive si sa cosa si sta affrontando.

In certi casi il pericolo è celato nel suo apparente opposto: ci si crogiola in (con) una pretesa patente di eterna freschezza intellettuale, mentre si sta scivolando nel macchiettismo di imminente status di reduce (per definizione esso è a vita).

In massima sintesi: il punk (leggasi: l’ancora ascoltatore di musica classificata come tale) a senso unico con pancia e calvizie è triste come il beatlesiano.

La monomania non aiuta: se è vero che “la gioventù ti lascia/la mamma muore/te restet come un pirla/col primo amore”[1], sei pirla anche se leggi soltanto il fumetto Tex e niente altro, indipendentemente dall’anagrafe e dallo stato di famiglia, tanto per dire.

Fra pirla ed incostante ci sono molte possibilità. Anche quella di mettere in cantina per sempre il proprio entusiasmo.

I Lost Boys non hanno famiglia? Forse, ma anche quando ce l’hanno essi rimangono ragazzi senza cantine inaccessibili, in quanto continuano a visitarle[2].

Con sufficiente (non necessariamente adeguato) spirito di conservazione dunque sono arrivato – sotto i profili musicale e intellettuale – al 1992 e al 1994, come ho già scritto in questa sede, dunque in prima e seconda battuta ai Manic Street Preachers.

In una prospettiva barrie-ana, quella che è legge nei Kensington Gardens, due anni di scarto anagrafico, in più o in meno, fra persone sono una generazione.

Ebbene, con il punk io mi sono sempre sentito fratello minore[3].

L’unica affinità anagrafico-intellettuale l’ho provata con i Manic Street Preachers.

Come se lo scambio di informazioni fosse biunivoco. Lo so, non lo è.

Sotto il profilo musicale, i quattro (per me e molti sono quattro, sempre) gallesi hanno avuto la capacità – rara – di utilizzare dei generi per raccontare.

Ehi: testo E musica, non testo e una mucillaggine alla chitarra o al pianoforte. Che ne pensate?

Che dire poi del gioco, degli “eroi” di 430 King’s Road, dei riferimenti senza troppe spiegazioni? Anche questo ripreso senza copiare dai quattro gallesi.

Dunque non mi stancherò mai di ascoltare i Manic Street Preachers, alternando rabbia da disilluso e spavalderia da seguace senza rimpianti di Peter Pan.

E ho sempre due o tre loro magliette pericolose (anche solo per la reputazione di chi le indossa), come quelle (ho anche quelle) di Seditionaries.

Quelli che non “stanno belli” sono, dunque e ancora, altri. Non noi.

Poi c’è la versione acustica di “Raindrops Keep Falling On My Head”, ma quello è un colpo basso, molto basso e tutti sanno come sono andati a finire (o come vogliamo che siano andati a finire) Buch Cassidy e the Sundance Kid[4]: non vecchi. Appunto.

 

[1] “Porta Romana bella”, canzone milanese classificata come popolare, pertanto senza autori e compositori ben identificati.

[2] E magari andandoci si accorgono di aver comprato qualcosa due volte, in un eccesso di entusiasmo o di horror vacui.

[3] Da figlio unico, sono felice di mia sorella Siouxsie. Lo ero anche di John McGeoch.

[4] Rispettivamente all’anagrafe Robert LeRoy Parker e Harry Longabaugh.