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REVIEWSLE RECENSIONI
02/08/2021
Descendents
9th & Walnut
Con “9th & Walnut” i Descendents rendono omaggio al loro fondatore Frank Navetta e guardano agli anni degli esordi, ricordandoci inconsapevolmente quanto strada abbiano fatto nel frattempo.

Cominciamo subito con il dire una cosa: questo non è il nuovo disco dei Descendents. Quello molto probabilmente arriverà il prossimo anno: la band ci sta lavorando in questi mesi e a quanto pare sembra essere a buon punto, come testimoniano le recenti “On You”, “Hindsigth 2020” e “That’s the Breaks”, il trio di canzoni anti-Trump pubblicate tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021. 9th & Walnut è piuttosto un sincero omaggio alle proprie origini, che però senza la pandemia quasi sicuramente non sarebbe uscito.

 

Come accennato nel documentario Filmage, che ripercorre la storia dei Descendents e degli All, nell’aprile del 2002, in occasione dello Stockage Festival, il batterista Bill Stevenson aveva invitato a Fort Collins, in Colorado, i membri originali dei Descendents Frank Navetta (chitarra) e Tony Lombardo (basso), ormai da anni lontani dal gruppo. Il primo si era infatti trasferito in Oregon per dedicarsi a tempo pieno alla pesca (!), mentre il secondo (di una quindicina di anni più grande) aveva preferito a malincuore un impiego stabile alle poste rispetto all’incertezza economica che una band punk di spiantati poteva offrirgli. E così, mentre i Descendents “ufficiali” erano impegnati nella registrazione di Cool to be You (che uscirà solo due anni dopo, nel 2004), i tre, in nome dei bei vecchi tempi, si erano chiusi in studio e avevano inciso nuove versioni delle loro prime canzoni, assieme alla cover di “Glad All Over” dei Dave Clark Five (un classico della British Invasion sempre presente nelle scalette dei loro concerti) e l’outtake di Milo Goes to College “Like the Way I Know”. E dal momento che il cantante Milo Aukerman si era unito alla band solamente nel 1980, quando i tre suonavano insieme da un paio d’anni e avevano già registrato il loro primo singolo (“Ride the Wild” / “It’s a Hectic World”, entrambi presenti), fedeli allo spirito del tempo, Navetta e Lombardo avevano cantano ciascuno le proprie canzoni. L’idea era in fin dei conti estremamente semplice: mettere su nastro quei pezzi con lo stesso spirito degli esordi, senza alcuno sforzo e per puro divertimento, suonandoli esattamente come fosse stato il 1978 o il 1979.

 

Per diciotto anni queste registrazioni sono rimaste nel proverbiale cassetto, con Stevenson che ciclicamente si riprometteva di coinvolgere Aukerman per completare il progetto, facendogli incidere la sua voce. Nel frattempo, la vita ha fatto il suo corso: Navetta è scomparso prematuramente nel 2008, Stevenson (che da anni gestisce lo studio The Blasting Room e parallelamente ha intrapreso una fortunata carriera da produttore) ha dovuto affrontare alcuni gravi problemi di salute, e i Descendents (che ora hanno tra le loro fila il chitarrista Stephen Egerton e il bassista Karl Alvarez) hanno continuato ad andare in tour regolarmente e a registrare album (l’ultimo è Hypercaffium Spazzinate del 2016). Con il lockdown, però, la situazione si è improvvisamente sbloccata: Stevenson ha finalmente inviato le registrazioni ad Aukerman, il quale ha registrato le voci nel suo studio casalingo a Newark, nel Delawere; Bill si è poi occupato del missaggio, mentre Jason Livermore ha realizzato il master. Insomma, in men che non si dica il disco è stato completato.

 

Il risultato è appunto 9th & Walnut, il cui titolo trae origine dall’intersezione a Long Beach dove si trovava il garage della sorella di Navetta in cui la band faceva le prove. E ascoltare il disco è proprio come fare un viaggio nel tempo, poco importa se le canzoni sono suonate e cantate da un manipolo di cinquantenni che al massimo hanno abusato di caffeina: lo spirito è quello degli esordi e dell’adolescenza, con tutte le ingenuità del caso. È proprio questo il pregio e allo stesso tempo il limite più evidente di questo progetto. Se da un lato è infatti meraviglioso ascoltare ancora una volta in azione l’iconica formazione che ha realizzato Milo Goes to College, dall’altro è inevitabile non notare quanto queste canzoni ci mostrino dei Descendents ancora acerbi, non completamente in possesso di quelle capacità di scrittura per cui saranno conosciuti in seguito. Le canzoni risultano fin troppo semplici, a tratti addirittura ingenue: ma è normale e giusto che sia così, dal momento che molti di questi pezzi sono stati scritti quando il loro autore principale, Frank Navetta, aveva appena sedici anni. E la mancanza di brani firmati da Stevenson (che nel 1979 non aveva ancora iniziato a comporre) e Aukerman (che non faceva formalmente ancora parte della band), il cui gusto Power Pop ha fatto la fortuna dei futuri Descendents, si sente eccome.

 

Insomma, ascoltando 9th & Walnut ci si trova di fronte a dei proto-Descendents, a una band che non ha ancora trovato la quadratura del cerchio (e la troverà abbondantemente di lì a pochissimo con Milo Goes to College, ridefinendo il Punk Rock), ma che sta lavorando duramente per riuscirci. Se preso come un amorevole tributo allo scomparso Navetta e come la fotografia (per quanto ricreata in vitro) di un preciso momento storico, 9th & Walnut fa sicuramente il suo dovere, dal momento che raccoglie finalmente sotto lo stesso tetto un patrimonio di canzoni che altrimenti sarebbe andato perduto. Ma se invece si vogliono ascoltare i “veri” Descendents, è meglio prima passare per album come Everything Sucks, Cool to Be You e Hypercaffium Spazzinate, anche perché – a dirla veramente tutta – Milo & Co. sono una delle pochissime band i cui lavori più recenti superano in qualità quelli degli esordi.


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