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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/02/2020
Achille Lauro
ACHILLER QUEEN
Essere sorpresi da qualcosa è una benedizione, un inno alla vita, al rinnovamento. Durante lo svolgimento di quest’ultimo festival sanremese mi è successo ed ovviamente trattandosi di una sorpresa, tutto è avvenuto all’improvviso.

In macchina, di ritorno da una serata lavorativa, anch’essa di musica in zona Pontedera (Pisa), sono le una di notte e penso che la sera prima a quella stessa ora stavo finendo di guardare il festival a casa, al caldo, scorrendo come si sfoglia una rivista qualsiasi qualche commento sui social. Mi viene voglia per imitazione di sapere cosa stia succedendo al festival, sto guidando quindi ho una sola rapida possibilità; l’app della Rai sul cellulare limitandomi all’ascolto data la guida.
Così è e mi piace la sensazione. Superstrada Firenze_Pisa_Livorno, qualche secondo di pubblicità, parte quel suono inconfondibile di applauso sanremese tiepido, tipico dell’imminente inizio di un brano appena presentato, costellato però da qualche voce che prova a svettare in quel momento che altrimenti sarebbe tale e quale agli altri.
Penso che sarà qualcuno di molto atteso, ma non ho nessuna idea o aspettativa.
Parte qualcosa di bello, di strumentale, poi una voce cantilenante che azzarda un piccolo tema, in un giro di accordi che sto per riconoscere prima delle prime vere parole, maschili, un po’ sofferte, non perfette di intonazione, strascicate e un po’ troppo dialettali ma tanto naturali e rassegnate nella timbrica e nell’interpretazione da lasciarmi inchiodato nell’ascolto.
La canzone mi si apre e spoglia nella mente, la riconosco e mi ricordo solo adesso che è la serata delle cover. Questa è quella di Mia Martini, l’ho anche suonata quest’estate in uno spettacolo dedicato al festival, questa è “Gli uomini non cambiano”. È una canzone meravigliosa, ma nel profondo non l’ho mai amata del tutto, forse perché ho sempre preferito la strofa al ritornello in maniera netta quasi fossero due canzoni differenti, due mondi opposti, la poesia delle strofe di testo e melodia e quel ritornello così netto e implacabile in quelle parole che suonano come condanne, impossibili da fraintendere.
“La pazienza delle donne” detta da questa voce maschile, annoiata, con la quantità di fiato appena sufficiente per far germogliare quelle note appena giuste, mi fa l’effetto di una pugnalata, sarà quel ritmo cambiato rispetto al resto della strofa ripetitivo e di per sé meravigliosa, sarà per il cambio armonico che ha la canzone stessa, pari alla bellezza di un ritornello, sarà perché capisco solo adesso che si tratti di Achille Lauro. Sì, proprio lui, quello che da quanto leggo sui social, sembra più bravo a far parlare di sé per il look che per la voce. Dimenticandoci le parole.
Quello diverso da ciò che vi aspettavate o ci aspettavamo.
Nel frattempo che ascolto queste cose e mi emoziono il pezzo va avanti, penso al fatto che non mi ricordi nulla della canzone che ha portato e che ho origliato non molte ore prima e la testa mi va alle varie sfaccettature del glam, delle cose che cambiano e che non siamo mai pronti ad accettarle, eccetto in qualche caso rivalutarle dopo anni.
O ancora peggio non rendersi conto che adoriamo Killer Queen cantata da Freddie Mercury ma che il messaggio per lo stesso Freddie era evidentemente più importante della tecnica vocale, per lui che per l’appunto cantava questa canzone con una tutina attillata bianca e nera, aperta davanti e con le proprie intime forme in tutta la loro innocenza.
Penso che forse i Queen qua in Italia a molti piacciono perché non si pongono minimamente il problema del significato delle sue parole, adesso nel 2020, col “google translate” a portata di mano. Figuriamoci cosa avremmo pensato nel 1974 di fronte ad un vestito e delle parole del genere. Senza lo scudo e la certezza della fama di un mito, di cui noi per primi ci nutriamo quando ne parliamo, lo avremmo frainteso, snobbato, etichettato.
Su “che ti dice una bugia” entra in scena una cosa diversa, un’appendice, un prolungamento dell’espressione in atto fino ad ora; trattasi di una voce femminile, che si affianca all’interpretazione di Achille Lauro nel ritornello e lo fa in una maniera delicata, come si farebbe con un bambino ai primi passi in procinto di battere il sedere per terra e per non fargli sentire il dolore ma neanche la dipendenza dalla nostra mano, lo prendiamo dolcemente e lo addirizziamo senza farsi sentire.
Quindi siamo nel pieno del ritornello femminile con lui che canta sotto e lei (che soltanto alla fine capirò essere Annalisa) che ne prende le redini, rendendo una sana giustizia all’originale, al gusto per il bello, per l’estensione, all’esplosione di cui una canzone sanremese necessita storicamente in quell’epico sodalizio tra salita armonica e vocale. E stavolta il ritornello mi lascia nello stupore dell’inizio, è una sua naturale prosecuzione.
Quando si torna alla strofa ed il pallino torna in mano a lui capisco tante, troppe cose, tutte insieme.

Innanzitutto che la distinzione Lui e Lei, in atto nelle critiche dei due giorni precedenti per l’esibizione di Achille Lauro, in questa canzone e versione trovano particolare sfogo e casa. Non esiste differenza qua, il Lui e il Lei diventano due differenti espressioni perfettamente associabili, dove il significato della canzone stessa entra in scena per appianarne e pareggiarne le differenze.
Poi capisco che sono immerso nell’ascolto, non nella visione, e sono privo di ogni pregiudizio, ha vinto la forza dell’espressione di un’artista che non ho mai disprezzato ma neanche del tutto apprezzato. Capisco che ho dovuto allontanarmi dalla figura fonte di quell’espressione e dai pensieri frutti di altri milioni di pregiudizi cui stiamo assistendo e che lo stanno accompagnando. E ve lo dice uno che tutto sommato lo ha sempre capito e “difeso”. Eppure ho avuto bisogno del distacco visivo, di tornare ad un ascolto puro per coglierne una parziale essenza espressiva. Dico parziale perché la maschera fa parte in maniera fondamentale dell’espressione di un’artista, del suo messaggio ed io me la stavo perdendo.
Ogni tanto in quella macchina sbirciavo e davo una guardata allo schermo, e mi è piaciuto vederlo vestito e truccato in un curioso mashup tra David Bowie ed Annie Lennox che omaggiano Under Pressure al Freddie Mercury Tribute. Sembra che nell’ispirazione abbia fuso le due, forse tre identità. Il collegamento col discorso del Lui e Lei mi provoca un sorriso.

Una volta tornato a casa, mi confronto col mondo dei social ed i giudizi di chi quell’esibizione ha avuto anche la fortuna di vederla, almeno dal mio punto di vista, aspettandomi un’incontestabile positività, un successo, me lo auguravo, per lui, ma anche per il pubblico. Perché è davvero un peccato perdersi queste emozioni.
Ed invece mi sono scontrato con un mondo di critiche, sberleffi, disapprovazioni, soggettività ma anche troppa superficialità. Che peccato gente. Davvero un gran peccato.

Avrò visto qualcosa in più costringendomi a vedere qualcosa in meno?
Magari sarò stato capace di osservare meglio il suo essere diverso senza fargliene una colpa.
Ma dov’è questa colpa? È stato diverso, un po’ come farebbe una sorpresa, e per me anche stavolta la sorpresa è stata una benedizione.


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